Meglio un caffè con Sadler o una cena da Sadler? Alla domanda, preferisco rispondere alla fine.

Arrivo in anticipo all’appuntamento perché penso sempre di sbagliare Naviglio e da vera milanese invece non lo sbaglio mai. Dopo qualche foto, fuori dal locale decido di entrare: la cassetta delle lettere vicino all’ingresso mi piace moltissimo! 
Claudio Sadler sta finendo di mangiare con alcuni collaboratori, l’unico pasto in una giornata che percepisco intensa anche se il clima è sereno e rilassato. Mi chiedono se voglio un bicchiere di vino ma alla fine opto per un caffè. Partiamo subito: le domande sono tante.
Trasmissioni TV: forse troppe. Come giudica questo aspetto in relazione alla cucina italiana? Non ci sono trasmissioni simili per il vino: avrebbe ancora senso una trasmissione alla Veronelli? 
La televisione, nell’ambito della cucina, in questi anni ha spopolato, fa audience e questo è positivo: l’unico mezzo veramente attuale per divulgare enocultura con tanti personaggi, che lo fanno più o meno bene. Veronelli è stato uno dei primi ad andare in TV a parlare di vino e di cibo. 


Il vino è un grande elemento che attrae al ristorante: i ristoranti sono i più grandi consumatori di vino di qualità, le carte sono tante e coinvolgono tanti produttori quindi noi facciamo il mercato del vino. Poi che si parli del vino in una maniera piuttosto che in un’altra… l’importante è che se ne parli; a volte mancano le persone ma è una cosa ciclica.
Come nasce una ricetta?
Può nascere in un minuto oppure posso metterci tanto tempo perché comunque le ispirazioni nascono così. Mi metto a disegnare e pensare un piatto e faccio sempre una valutazione del momento che sto vivendo e delle sensazioni che ho, sulla stagione e i prodotti che ho a disposizione e da lì nasce la mia creatività; a volte lo stesso concetto mi si ripresenta due anni dopo, nella stessa stagione, ma qualcosa è cambiato: il mio modo di vedere e assaporare il cibo. 


La cucina è sempre in movimento. Ci sono dei classici che per me sono al top e difficilmente puoi cambiarli, però a volte ci sono gusti e sapori che si possono trasformare in maniera più moderna ma restano le emozioni che hai vissuto assaggiando un piatto e le puoi far rivivere cambiando l’aspetto estetico o la conformazione del piatto.
Come sono i rapporti con gli altri grandi chef?
Ho rapporti di amicizia con molti chef, in qualità di presidente dell’Associazione delle Soste forse sono più predisposto. Si tratta di un’associazione di ristoratori e di cuochi che fanno cucina italiana in Italia e nel mondo e ho molti amici con cui condivido questa esperienza e spesso capita di lavorare o cucinare insieme in eventi particolari. 


È molto bello e divertente, sei più in sintonia con alcuni e un po’ meno con altri ma questo è un fatto intrinseco della nostra umanità ma mi piace il confronto con gli altri soci. Ogni volta che vedi un nuovo piatto hai l’occasione di imparare qualcosa di diverso e di movimentare il tuo bagaglio culturale a parte qualche pirla che c’è in giro…
Recentemente si è suicidato un grande chef. A partire da Vatel, su cui è stato fatto addirittura un film, la cronaca parla di questi casi, collegandoli alla professione più che all’uomo. Lei che ne pensa?
È particolarmente stressante e difficile perché è un lavoro molto impegnativo: tante ore al giorno, tanta fatica: quando diventi uno chef devi pensare a tutti quelli intorno a te e cercare di trovare il modo di comunicare il tuo pensiero. Oggi è cambiato un po’ tutto: gioca molto il ruolo dell’immagine rispetto al valore del tuo prodotto. 


Io tendo a stare nel mezzo: mi piace molto il lavoro, non mi pesa lavorare 16-20 ore ma faccio in modo che questo sacrificio mi dia soddisfazione: fare un piatto nuovo, creare un menu, avere la considerazione di un cliente che si è trovato bene, che è soddisfatto del personale – perché questo è un lavoro d’équipe; questo mi appaga di tutto lo stress che questo lavoro comporta. 


Il fatto che qualche chef compia questo atto estremo… sicuramente non è dovuto solo il lavoro ma a particolari condizioni psicologiche, mentali. Tante volte mi è capitato di pensare sono stanco di fare questo lavoro vorrei fare altro, poi alla fine mi piace e continuo.
Recensioni su web e guide “ufficiali”: come le giudica? 
Il web mette in condizione ciascuno di noi a esprimere un giudizio: la democrazia non è un problema però non possiamo tutti giudicare tutto: uno deve avere un minimo di esperienza. Faccio il mio caso: sono una persona che fa questo lavoro da 30 anni, arriva un ragazzo di 25 e può permettersi di scrivere che tu non sei come lui pensava ma perché lui cosa pensava? Se non vuoi più venire al mio ristorante non c’è problema, ma non devi indurre gli altri perché tu non sai cosa vuoi oppure quello che hai trovato non è confacente al tuo mood. 


Scrivi quello che vuoi ma cerca di farlo con moderazione. Non è facile trovare persone che siano capaci di oggettività, giudizio e rispetto; spesso la gente non sa cosa vuol dire fare questo lavoro, essere ristoratori e chef dopo tanti anni. Ma onestamente sono abbastanza disinteressato, anche se fa piacere se uno parla bene e infastidisce se uno parla male. Quello che mi interessa è più una guida Michelin, Espresso o Gambero rosso dove c’è dietro una professionalità.
Doggy bag e spreco alimentare. Cosa ne pensa?
La storia del doggy bag non è un problema. Basta che il cliente chieda di portare via l’avanzo di carne o la mezza bottiglia rimasta, li mettiamo in una borsa e se li porta. Nessuno giudica nessuno. Il fatto degli sprechi: di cosa stiamo parlando? Non cucino gli avanzi perché non faccio avanzi: questo è insito nel concetto di uno chef, se io spreco e butto via roba che è edibile già ho sbagliato! 


Cerco di comprare materie prime che utilizzo in tutto poi è ovvio che le bucce delle patate non le posso, cioè se voglio le posso anche riciclare, però non è che posso far da mangiare le bucce delle patate piuttosto che i petali del carciofo. Insomma mi pare una storia costruita per dire e scrivere… 

Istituti professionali per i servizi alberghieri. Come giudica le nostre scuole? Lei invece ha diverse collaborazioni e una sua scuola: a chi si rivolge? 
Sono stato insegnante per 13 anni quindi sono favorevole agli Istituti alberghieri, anche se ci sono dei limiti perché i ragazzi non hanno la possibilità di fare una formazione pratica sufficiente, cioè non hanno la possibilità di mettere mano al prodotto e alla materia come dovrebbero. 


Il supporto che diamo come ristoratori, e anche come Associazione, è proprio quello di promuovere gli stage formativi. Mi sembra un’ottima strada, che praticano già all’estero, sarebbe necessaria una migliore interazione fra scuole e ambienti di lavoro: facciamo in modo che questo avvenga! 


Noi facciamo dei corsi che sono legati prettamente al divertimento: facciamo una serata ogni tanto dove le persone che vengono passano un pomeriggio e una serata cucinando insieme a me e ai miei cuochi e tutto si conclude con una cena di altissimo livello e non c’è nessun altro tipo di obiettivo: non voglio creare chef. 


Diversamente da quello che faccio a Metro Academy, un laboratorio dove cerchiamo di fare cultura del cibo e di proporre anche con una forma promozionale dei prodotti che si vendono nel magazzino, delle ricette che possono mettere in condizione gli chef che seguono le lezioni di migliorare la loro conoscenza professionale e culturale e fare un prodotto sempre migliore.
Sul sito del ristorante c’è il menù ma non la carta dei vini. Come mai? Avete una carta delle birre?
La nostra carta dei vini “si muove” tantissimo. Abbiamo circa 800 etichette: metterle tutte diventa noioso e anche poco produttivo. Lavoriamo con la carta dei vini elettronica, non usiamo il cartaceo perché questo ci permette di avere una carta aggiornata al minuto e quando finisce un vino viene immediatamente eliminato in maniera automatica mentre quando arriva un vino viene inserito, facendo parte subito della carta. 


In questo modo abbiamo una carta sempre aggiornata: insomma un programma di gestione della cantina, che ci permette di lavorare in tempo reale. Non usiamo tantissimo le birre. Sono consulente di Birra Moretti: ho fatto insieme al sommelier Vaccarini, il loro beer maker, il progetto delle regionali, che sono birre un po’ particolari ma non è il nostro core business, sono un coronamento.
Recentemente Gualtiero Marchesi ha dichiarato che gli fa schifo il vino. Cosa risponde? 
Io gli voglio bene: per me rappresenta un’icona della cucina italiana; le frasi che ha detto ultimamente purtroppo scalfiscono quello che è il suo modo di essere chef in Italia: è un peccato perché comunque io credo che in questo mondo le icone abbiamo un grande valore, però certe affermazioni vanno un po’ misurate. Mi dispiace proprio per questa uscita, un po’ infelice però non toglie che lo consideri sempre un grande maestro. L’età a volte fa brutti scherzi!

Come si gestisce una cantina di un ristorante?

La cantina è un argomento estremamente complicato per un ristorante. La cantina ti può far fare ottimi investimenti, ti può fare guadagnare ma ti può far fallire


Devi essere molto attento a cosa metti nella tua cantina, devi avere le idee chiare su come devi acquistare, come devi pagare il vino, devi proporzionare gli acquisti in base al tuo fatturato, legato alla stagionalità. 


Il vino non può superare il 7-8% del fatturato, se superi questa percentuale sei in pericolo, se acquisti proporzionalmente vai bene, devi avere vini di qualità, una cantina che gira bene. Noi abbiamo istituito un sistema dove il sommelier è assoggettato a un budget, può acquistare sostanzialmente quello che vuole, sotto mia approvazione. 


Quando il sommelier compra, deve fare l’analisi di quello che compra, di quanto compra, di quanto costa, di quando lo deve pagare. Ci sono dei mesi in cui non può permettersi di acquistare perché il ristorante ha delle chiusure forzate legate a periodi di ferie o festività: quindi è vietato comprare vino, soprattutto pagarlo in quel periodo perché non ci sono entrate. 


Non servono milioni di euro di giacenza nella cantina, serve avere quello che serve. Noi abbiamo circa 7-8000 bottiglie in giacenza in media ma in base a come va l’annata cerchiamo di aumentare o diminuire la giacenza. A seconda del fatturato che ho fatto l’anno prima determino il budget per l’anno successivo.
Il cliente medio è meglio informato di un tempo? 
Il 70% delle persone non conosce approfonditamente il vino, il 30% poco o abbastanza bene. Ovviamente il cliente che conosce il vino ci dà soddisfazione perché acquista dei vini importanti. Normalmente non è l’italiano ma è lo straniero, che si butta su vini anche estremamente costosi: questo non vuol dire che conosca perfettamente il vino. 


Lo prende perché costa caro e quindi presume che sia buono. E sicuramente è buono perché noi facciamo delle scelte opinate. La maggior parte delle persone si affida alla tua competenza, chiede un consiglio, cerca di avere un giusto abbinamento. Abbiamo una lista di vini al calice, abbiamo sempre una degustazione di vini che accompagnano i menu soprattutto quelli creativi, un po’ complessi, di più portate, dove facciamo degli abbinamenti adeguati: a volte nell’arco di una serata serviamo cinque vini diversi, frutto di riflessioni su quello che è l’abbinamento migliore per quel tipo di cibo. 


Sempre più frequentemente, le persone si adattano a questo concetto e l’utilizzo dei vini al bicchiere in questo momento è molto forte.
Un abbinamento difficile ma riuscito e un abbinamento inedito da proporre.
Il carciofo è sempre quello che ci crea molti problemi. Però dipende da come è cucinato, ieri sera ho fatto un piatto in cui il carciofo aveva una certa predominanza e abbiamo abbinato uno chardonnay umbro passato in barrique con un po’ di vermentino e andava molto bene. Sono gusti forti entrambi: un abbinamento in parallelo e non in contrasto.

La cassoeula con uno champagne o un metodo classico, è perfetta, eccezionale. Nella cassoeula fatta bene, sgrassata nella maniera corretta, cotta a dovere in modo che i succhi si armonizzino in maniera precisa, più che grasso abbiamo tanto collagene. 


Il collagene viene pulito in bocca e nel resto dell’apparato digerente solo con l’effervescenza di uno champagne dove hai acidità e sapore! 


Mentre, contrariamente a quello che molti pensano, un vino rosso massiccio non fa altro che aumentare l’indigeribilità del prodotto perché comunque il tannino non dà questa possibilità di sgrassare ma anzi appesantisce, con lo champagne invece vai a nozze!
E dunque veniamo alla domanda iniziale: meglio un caffè con Sadler o una cena da Sadler? Per fornire una risposta completa dovrei chiedere ai miei numerosi ammiratori di portarmi a cena una delle prossime sere. Tuttavia non ho dubbi sulla qualità. Ma se Sadler dovesse invitarmi ancora a bere un caffè con lui, per rispondere ad altre domande, sappia e sappiate che io ci sono!