Scrive Catullo: “E poi dove vi piace andate, acque turbamento del vino, andate pure dagli astemi: qui c’è il fuoco di Bacco.”. Se il vino è davvero il fuoco di Bacco, l’Etna è senza dubbio il miglior luogo per impiantare una vigna romana!
Mario Indelicato in vigna
L’IBAM – CNR in collaborazione con l’Università di Catania ha condotto uno studio e un progetto davvero interessante Archeologia del vino in Italia: un esperimento siciliano allo scopo di ottenere uva prodotta in una vigna sperimentale, verificando e utilizzando le antiche tecniche romane. 
Il programma scientifico è coordinato dal Professor Daniele Malfitana, titolare dalla cattedra di Metodologie, cultura materiale e produzioni artigianali nel mondo classico e Direttore dell’IBAM di Catania.

Il Dottor Mario Indelicato è l’archeologo che ha messo in pratica il progetto sperimentale e a lui abbiamo chiesto di raccontarci questa bellissima avventura.

L’esperimento archeologico della “vigna romana” intende riprodurre sperimentalmente le tecniche romane di produzione del vino: dal prelievo delle talee fino alla vendemmia. Tutto ciò seguendo accuratamente le ‘istruzioni’ contenute nei testi georgici latini del I secolo a.C. e fino al IV d.C.: in particolare il De Re Rustica di Columella.
Le iscrizioni contenuto in Virgilio e Columella sono state esaustive? Erano precisi o avete dovuto “arrangiarvi” in qualche caso? E in quale eventualmente?



Le istruzioni degli agronomi latine sono state pienamente esaustive. In particolare il libro III dell’opera di Columella, il De Re Rustica. Questo testo è un vero e proprio manuale di viticoltura in cui l’autore, agricoltore egli stesso, si cimenta nella descrizione puntuale e precisa di ogni operazione necessaria alla coltura della vite, dalla piantumazione alla vendemmia. Anche il II libro delle Georgiche di Virgilio, da molti considerato il miglior trattato di viticoltura – in poesia – nel mondo antico, ha aiutato nell’esecuzione di alcune operazioni nella vigna sperimentale.



Che strumento è la cicogna? A cosa serviva? Solo per i vigneti? Quale implicazioni sul controllo del lavoro e perché?



La ciconia era una sorta di “strumento di controllo”, in uso già prima di Columella ma da questi perfezionato. Sappiamo, infatti, che Columella fu un teorico dell’agricoltura intensiva ante litteram. Fondamentale diventava, pertanto, in quest’ottica, il controllo diretto sul terreno dal padrone che si serviva di tale strumento per controllare la correttezza dello scavo dello scasso profondo che preparava il terreno alla coltura della vite (pastinatio). Per queste particolari operazioni, che venivano eseguite una tantum ed erano particolarmente importanti, si usavano, quasi certamente, operai specializzati a pagamento. Di qui la necessità per Columella, proprietario terriero a sua volta, di approntare uno strumento che fosse univoco nel dire se il lavoro degli operai era stato eseguito correttamente o meno. 

La falcula invece cos’era? Solo in viticoltura? E perché?



Parliamo di quel particolare attrezzo che Columella descrive dettagliatamente, in ognuna delle sue sei parti (De re rustica, IV, 25), e ci presenta con il nome di falx vinitoria. È un particolare tipo di falce essenzialmente derivata dalla roncola che, opportunamente modificata con l’aggiunta sul dorso di una lama – da cui il nome “pennato” con cui è chiamata in diverse regioni italiane. Si tratta di uno strumento che ha goduto di grandissima fortuna nelle campagne italiane anche perché poteva trovare facile impiego anche nella coltura dell’olivo o degli alberi da frutta in generale per via della sua estrema versatilità






Variante della falx era la falcula, un falcetto di dimensioni inferiori, a lama curva, utilizzato per le operazioni di taglio più delicate o in situazioni di poco spazio operativo (per esempio nella potatura o nella scalzatura).



Canna e ginestra solo perché disponibili o perché adatti?



L’arundo donax e la genista aetnensis sono state scelte, in primis, perché suggerite dallo stesso Columella come piante molto adatte alla legatura delle vigne; in secondo luogo sono state scelte perché direttamente disponibili nel territorio dell’esperimento.



Con quale criterio sono state scelti i vitigni?



Non potendosi, purtroppo, utilizzare i vitigni descritti dalle nostre fonti latine, abbiamo optato per l’utilizzo dei vitigni più antichi possibili nel territorio siciliano. Così, grazia all’Assessorato all’Agricoltura della Regione Siciliana che ha messo a disposizione le viti della collezione ampelografica dell’U.O.S. 2 di Marsala, è stato possibile ottenere circa 60 viti delle varietà: Nerello mascalese, Nerello cappuccio, Visparola, Racinedda, Prunestra, Muscatedda, Catanese Nera.



Cosa avete potuto già capire in questa prima fase di lavori?



Grazie ai confronti etnografici nelle campagne siciliane e nei testi di agronomi ottocenteschi, è stato molto interessante scoprire che la viticoltura romana è rimasta pressoché invariata fino agli albori dell’agricoltura moderna, piena zeppa di chimica e mezzi a motore.



Ciò ci ha permesso di verificare sul campo l’altissima competenza enologica raggiunta, nel mondo, antico dai romani e sopravvissuta fino a noi sostanzialmente invariata.



Prima vendemmia: quanto è stato e di quale qualità il raccolto?



Nel settembre del 2014 sono stati raccolti i primi, pochi, grappoli dalla vigna romana. Il primo vitigno a produrre è stato la Muscatedda, l’unico, tra l’altro, a bacca bianca.



Nel settembre 2015 c’è stato un raddoppio della produzione dal momento che anche di vitigni a bacca nera hanno cominciato a dare frutto.



Quando comincerete a fare il vino? 



Nel 2016 contiamo di raccogliere una ventina di kg di uva per effettuare i primi test di produzione “alla romana”.



Intervento di enologi ed agronomi è previsto o solamente puro interesse archeologico?



Il progetto nasce con esclusivo interesse archeologico ed ha come obiettivo la comparazione dei risultati sperimentali finali con quelli delle indagini archeologiche in siti di produzione vinicola condotte nel bacino del mediterraneo. Le conoscenze acquisite consentiranno, inoltre, una maggior comprensione e valorizzazione del vino siciliano sia come filiera produttiva che prodotto finito.






Tutto ciò non esclude l’intervento e la collaborazione di enologi, specialmente nella fase di produzione sperimentale di vino “romano”.



Prospettive e futuro di questo progetto



Lo studio e la ricerca continuano in varie direzioni tutte collaterali alla produzione di vino nel mondo romano: dalla produzione di pece per impermeabilizzare i vasi vinari, allo studio degli attrezzi agricoli. Nel futuro si spera, quindi, di poter concludere il progetto brindando alla salute di Columella con coppe colme di defrutum o mulsum siciliani del XXI secolo…!



Noi siamo sempre curiosi e certamente seguiremo gli sviluppi di questo progetto e speriamo anche di essere tra i fortunati ad assaggiare un nuovo seppur antico vino romano!