Preparare delle domande da sottoporre ad Attilio Scienza, Professore Ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano ci ha messo in difficoltà, dobbiamo confessarlo. Sono tante le questioni che in questi anni il Professore ha affrontato e ci sembrava che un’intervista non potesse bastare (e infatti speriamo in futuro di ascoltarlo ancora).

Ci veniva voglia di arrivare e chiedergli di parlare a braccio con la certezza che ogni argomento proposto sarebbe stato interessante e con la speranza di essere in grado di capire anche gli argomenti più tecnici.

Quando però un personaggio è grande… lo è anche nell’accoglienza, nella semplicità di approccio e nella disponibilità, così superato il timore iniziale di rivolgere domande troppo scontate e modeste, ci siamo lasciati andare ad ascoltare quest’uomo appassionato, oltre che competente. Ancora passione, quindi: quella delle #personedivino.

Riesling sulla Mosella

Sto lavorando a un libro che parla del conflitto tra cultura umanistica e scientifica, che genera, al giorno d’oggi, l’avversione agli OGM, partendo da un fatto sconosciuto ai più. Nel 1939 Hitler e Mussolini stabiliscono di non utilizzare materiali genetici statunitensi per la fabbricazione delle resistenze. Hitler investe in un centro genetico vicino Berlino e gli scienziati tedeschi trovano individui di riesling resistenti alla peronospora. Qualche anno dopo, durante i bombardamenti sulla Germania, Hitler organizza un treno che contiene gli individui selezionati ma questo materiale cade in mano francese e finisce a Montpellier dove, molti anni dopo, scopro che questi individui erano sovrapponibili a quelli provenienti dall’Azerbaijan. A partire da questo, il libro cerca di trovare una sintesi tra queste due culture: la filosofia che non modifica la natura e la biologia che invece la vuole modificare. Con il genoma editing – che non è una manipolazione genetica – facciamo quello che i batteri fanno con virus, spezzando il loro DNA in pezzetti non riproducibili.

Nel suo lavoro c’è sempre grande attenzione per i vitigni autoctoni. Cosa può rappresentare per il vino? Ricerca scientifica pura e/o recupero ampelografico di valore? 
È importante comunque mantenere la biodiversità, magari alcuni vitigni non sono utilizzabili per il vino ma portano con sé caratteristiche molto interessanti. È di questi giorni una legge a tutela della biodiversità. 
 
Dopo la piccola glaciazione, con il quale si intende un periodo che va dal XIV al XVIII secolo d.C., molti vitigni, a causa delle temperature più fredde, scompaiono lasciando posto a varietà come le malvasie per esempio, figlie proprio di questo periodo, perché migliori nella capacità di attrarre zucchero. Ora, al contrario, assistiamo a un innalzamento globale delle temperature… 

Juliette Colbert Marchesa di Barolo

Il consumatore è cambiato: in questi ultimi quarant’anni c’è stato una evoluzione esponenziale. Una volta, chi beveva Barolo era solo di alto ceto, il Brunello non esisteva, il Sud meno che mai. Oggi il consumatore non vuole più solo Cabernet o Chardonnay e questo si può fare solo con la viticoltura e l’enologia varietale. La viticoltura va applicata vitigno per vitigno, purtroppo troppo spesso si fa viticoltura di stampo internazionale. 


Scommetto sulle piccole aziende perché i grandi non hanno interesse a investire in questo anche se i piccoli – a volte – non hanno le risorse economiche sufficienti. A mio parere, la soluzione potrebbe essere una rete di imprese di dieci aziende o più che investono nel progetto comunicandolo. In questi progetti è importante che sia il vignaiolo il protagonista, come per esempio Walter Massa lo è stato per il Timorasso


La seconda cosa importante è quella di riuscire a legare il vitigno a una storia che lo caratterizza e lo identifica e non al modo di vinificare. La gente oggi beve con il cervello non con la bocca.

Asia e in particolare Cina sono potenzialmente grandi mercati ma anche altro? Avremo mai vino cinese? 
Non penso che riusciranno mai a produrre vini di qualità perché non hanno territori così vasti alle latitudini ove sarebbe possibile. È un mercato ancora basico: non hanno ancora assimilato una cultura del vino, perfino i grandi buyer cinesi hanno difficoltà con la terminologia
In un’intervista lei si dice contrario al punteggio nei vini: nulla da salvare in questo orientamento? 
Le guide ce l’hanno a morte con me (ride). Infatti i vini che produce mio figlio – e sono buoni – non prendono mai premi! Dobbiamo stare molto attenti alle guide, sono partiti con delle buone intenzioni assimilando il concetto di classificazione dagli anglosassoni, tipicamente pragmatici. E, del resto, loro il vino dovevano comprarselo e quindi era una vera necessità. 


Nel tempo, il concetto guida è degenerato, il consumatore si è visto ingannato e questo ha rotto l’incantesimo. Io non farei il punteggio, del resto ormai molte guide non lo propongono quasi più.
Francia e Spagna sperimenteranno i portainnesti M, frutto di un progetto coordinato, tra gli altri, anche da lei. Vuole spiegare ai nostri lettori di cosa si tratta? 

Quando arrivò la fillossera nessuno conosceva questo afide in Europa, in America sì perché colpiva le querce. A metà ‘800, molti collezionisti importano viti esotiche dall’America, importando in questo modo anche la fillossera. La prima difficoltà fu la scarsa conoscenza della biologia di questo insetto. 


Così, dopo varie ipotesi, tesi e controtesi si arrivò alla convinzione che la miglior soluzione fosse quella di espiantare e distruggere i vigneti esistenti. La ricostruzione della viticoltura fu resa possibile con la creazione dei primi portainnesti su piede americano. Era necessario però trovare materiale genetico non solo resistente alla fillossera ma che potesse vegetare in suoli calcarei e marnosi, tipici dell’Europa. La ricerca di una soluzione cambiò profondamente il modo di fare viticoltura.

 
Oggi, emergenze sanitarie, cambiamento climatico (in particolare la disponibilità dell’acqua) così come la necessità di ridurre gli input energetici, evidenziano l’inadeguatezza dei portainnesti tradizionali. L’obiettivo quindi è stato quello di ottenere dei nuovi portainnesti con maggior efficienza nell’utilizzo degli elementi minerali (ferro, potassio e magnesio) e dell’acqua, senza dimenticare la tolleranza alla fillossera e l’attitudine alla moltiplicazione


La ricerca ci ha consentito di omologare quattro portainnesti, la cui propagazione è affidata in esclusiva a Vivai Cooperativi di Rauscedo, impegnati a fornire una royalty per ogni barbatella. I portainnesti stanno andando benissimo, i francesi non sapevano nulla sui primi portainnesti. Ad agosto del 2014 è stata costituita una società partecipata da primarie aziende vitivinicole italiane, che attraverso lo spin-off dell’Università degli Studi di Milano, IpadLab Plant Analysis & Diagnostics ha l’obiettivo di valorizzare commercialmente i risultati della ricerca genetica e garantire così una fonte di finanziamento per la ricerca futura. 

 

Lei è stato Direttore della Scuola di San Michele dell’Adige. Cosa si sente di consigliare ai giovani che vogliono occuparsi di vino e viticoltura?
In Italia ci sono tre importanti e validi Istituti: Conegliano, Alba e San Michele. Piuttosto che arrangiarsi in temporanei e sterili stage di sala come camerieri, suggerisco ai giovani di fare esperienze all’estero, di proseguire gli studi e laurearsi.
Per finire gli chiediamo: che cosa fa il Professor Scienza nel tempo libero? 
Non ne ho: lavoro, congressi, presidenze, consulenze non mi danno spazio per altro.
È un arrivederci a presto… almeno lo speriamo!