Oltrepò e Lomellina
Se non fossero stati un po’ invidiosi dei risultati del pinot nero in altri terroir, avremmo del Metodo Classico così promettente?

Siamo in una zona molto interessante dal punto di vista geografico: una zona tra Piemonte, Liguria, Emilia e ovviamente Lombardia. Non meno interessante la varietà geologica: dalla pianura alluvionale alla bassa-media collina calcareo-argillosa.

Quando nel 1743 il territorio passò ai Savoia, si sviluppò il settore vitivinicolo, influenzato dalla tradizione piemontese. Ma questo non significa che nella zona non fossero presenti già numerose testimonianze, raccolte in documenti notarili, a partire dal 600 d.C. In generale, la viticoltura si sviluppo lungo i percorsi della via dell’olio, del sale e più in generale del commercio con la Liguria. Importante fu anche l’influenza delle tecniche di vinificazione e di allevamento provenienti da Massalia (l’attuale Marsiglia).

Nel 1374 compaiono per la prima volta i nomi di alcuni vini, per i quali va pagato il dazio, ma si tratta di qualità “foreste”: marvasiam, ribollam, cretensem e vernantium. Prodotti con vitigni locali ma vinificati secondo i modelli orientali, quindi stramaturazione in pianta, appassimento e ossidazione.

Inizialmente la viticoltura era più presente nei dintorni di Pavia e in Lomellina, poi con l’avvento di malattie, in pianura si andò a sostituire il riso e la viticoltura si spostò in collina.

 

Alla fine del ‘400 Santa Giulietta, Voghera, Rovescala, Montalto, Stradella sono sempre più citate come luoghi di produzione, in particolare della Pignola, e secondo Andrea Bacci e Sante Lancerio i vini di queste parti erano buoni e ricordavano i malvatici

Come detto, l’influenza sabauda cambiò progressivamente la varietà delle uve e oltre alla già citata Pignola, troviamo la Moradella e l’Ughetta di Canneto.


Tuttavia un po’ di confusione sulle varietà di uve era presente tra i contadini e un errore di Acerbi – in un saggio del 1825 – che accomunò la Bonarda piemontese a quella locale, contribuì ad alimentare la diatriba Bonarda-Croatina. Fraintendimento che continuò con l’unione del Granducato di Parma e Piacenza nel 1848 al Regno di Savoia. È in questo senso che la Bonarda di Rovescala si intese come piemontese.

Furono comunque questi due vitigni cha prendere il posto di altre varietà perché meglio resistenti alle malattie che infestarono tutta la zona alla fine dell’ ‘800.

La collina dell’Oltrepò resta comunque un perfetto territorio per il Pinot nero destinato alla spumantizzazione, grazie all’ambiente caratterizzato da elevati sbalzi termici, soprattutto in estate.

Il terreno, prevalentemente argilloso, consente un’ottima crescita delle radici che così possono difendere la pianta dalle siccità estive e assicura all’uva un rapporto ottimale fra tenore zuccherino e acidità.

Nelle aree sub-collinari, le temperature elevate e il terreno più calcareo consentono la produzione di vini rossi di buona struttura ed equilibrati. Difficile scegliere cosa degustare in questa zona così ricca, ma tutto questo discorso sulla croatina, mi ha fatto optare per una Bonarda.

Quindi seguitemi… chiudete il libro e per chi ha ancora pregiudizi verso questo vino, stappatevi una bottiglia di

LOGHETTO 2013Fratelli Agnes – 75% Croatina, 25% altri vitigni – 14° vol. –  Siamo proprio a Rovescala… nel cuore dell’Oltrepò: un vigneto di 80 anni con un clone antico e rarissimo che abbiamo ancora la fortuna di poter degustare! Soprattutto per quelli che non hanno ancora capito che la Bonarda può essere un gran vino… se lo si sa fare!

(continua)