Negli ultimi anni le parole naturale, biologico e biodinamico sono diventate di dominio comune nell’universo enologico. Poiché l’uva è un prodotto della natura, fare vino seguendo i suoi ritmi e rispettandola, a rigor di logica, sembrerebbe essere la scelta vincente. Eppure non è sempre stato così. Infatti fino a pochi decenni fa, chi arditamente decideva di produrre vino utilizzando il meno possibile mezzi esterni, fisici, meccanici o chimici che siano, non veniva minimamente preso in considerazione e, molto spesso, era criticato. Una scelta, che a lungo andare, si è rivelata vincente, poiché oggi la situazione si è ribaltata. I vini naturali stanno riscuotendo sempre maggior interesse sia in termini di investimenti da parte dei produttori, sia come successo tra intenditori e appassionati.
Tralasciando chi sceglie il biologico, naturale e biodinamico per moda o chi arriva all’estremizzazione di questi metodi produttivi, penso che produrre vino utilizzando il meno possibile la chimica, sia in vigna che in cantina, e cercando di valorizzare e trarre il meglio da ciò che la natura offre, sia un modo intelligente di fare il vino.



Studi e sperimentazioni sempre più numerose stanno permettendo di ottenere prodotti con un elevato livello qualitativo, il cui valore aggiunto è poter ottenere vini ogni anno leggermente diversi, mai omologati e standardizzati, in cui ritrovare tutta l’espressione del terroir e del vignaiolo che li ha prodotti.
Un’istituzione come l’Ais Milano non poteva non occuparsi dell’argomento, e lo scorso giugno ha organizzato una serata dedicata a quattro cantine e alla loro produzione di vini “naturali”: Emidio Pepe, La Stoppa, Dettori, Nino Barraco. L’attento, preciso e pungente moderatore dell’evento è stao Samuel Cogliati, che ha impostato la serata come un’intervista, o meglio una “chiacchierata” tra amici (quali sono i quattro produttori), intervallata dalla degustazione di due vini per ogni azienda. In maniera molto semplice, ma al contempo originale, per le prime domande Samuel ha preso spunto da quello che è il moderno “bigliettino da visita” , ossia dalla pagina internet di ogni cantina. Ecco le frasi vere e genuine e alcuni dei vini attraverso cui si sono raccontati questi artigiani del vino.

Dei quattro ospiti della serata, Sofia Pepe rappresenta Emidio Pepe, l’azienda con la tradizione enologica più lunga. La famiglia Pepe ha iniziato a produrre vino in Abruzzo alla fine dell’800, conservando fino ad oggi una conduzione familiare, senza mai dimenticare le tradizioni ed il saper fare del passato. La storia “moderna” dei vini Emidio Pepe inizia con il papà di Sofia, con cui il montepulciano da vino sfuso passa ad essere imbottigliato. Prima criticato e oggi considerato un maestro, “papà voleva produrre un vino naturale che non facesse venire mal di testa, voleva esaltare la longevità del montepulciano, fino ad allora considerato un vino da bere giovane”. Ma proviamolo…
Montepulciano 2011
Forse non una delle migliori annate (ho assaggiato il 2005 e sono finita su un altro pianeta), ma comunque un ottimo vino, a dimostrazione del fatto che se si lavora bene si può ottenere un buon prodotto anche negli anni in cui la natura non aiuta. Il naso intenso di ciliegia matura e spezie si concede pian piano, rivelando con il tempo note terziarie ed animali. Sofia racconta che a causa dell’annata molto calda, il vino è morbido e delicato, mancante della spalla acida tipica del suo montepulciano e quindi non adatto ad un lungo invecchiamento, solo 20/30 anni… Un tempo letale per moltissimi altri vini. Effettivamente il sorso è pieno, rotondo, voluminoso. L’acidità e il tannino sono lì, forse non così prepotenti da dare longevità al vino, ma sicuramente responsabili della sua salda struttura. Ed è proprio la morbidezza di queste due durezze che rende il montepulciano 2011 già pronto per le nostre tavole.

La storia moderna dell’azienda La stoppa, nel piacentino, inizia nel 1973, quando la famiglia Pantaleoni acquista i terreni su cui, più di cento anni fa, si coltivavano uve bordolesi che davano vita a vini dai nomi un po’ curiosi perché italianizzati: Bordò, Bordò bianco e Pinò. Elena Pantaleoni, che insieme a Giulio Armani, oggi conduce l’azienda, ha mantenuto parte di queste vecchie viti, affiancandole alla coltivazioni dei vitigni autoctoni tipici di queste zone.
“I vini che voglio sono quelli che la storia mi ha consegnato: il passito dal colore d’ambra, i rossi che nascono dalle uve del territorio e da altre che furono portate dalla Francia come usava in Italia nell’Ottocento. Non voglio che queste storie siano alterate da mode che come tali passano, voglio che le mie bottiglie vivano il loro tempo, e che quando saranno colte si goda a lungo dei loro colori, dei loro sapori e dei loro profumi”, con queste parole Elena presenta al pubblico il suoi vini.
Questa sera non ho il piacere di degustare come i vitigni d’oltralpe si esprimono nel territoro emiliano, ma con gli autoctoni non mi è di certo andata male.
Vigna del Volta 2008 (Igt Emilia Malvasia Passito), Malvasia di Candia in purezza, prende il suo nome dal mezzadro che lo ha coltivato per anni. Un vino dal brillante colore ambranto e dal naso semplice, ma inteso, con note ben definite di albicocca, frutta secca e scorza candita che ritroveremo anche in bocca. Il sorso, di avvolgente morbidezza, è sostenuto da un’ottima acidità e da tannini leggeri, che allontanano la stucchevolezza e invogliano a versarne un altro bicchiere.

“Per fare un buon vino ci vogliono equilibrio e continuità, un pizzico di fortuna e volare basso” parole da cui traspaiono semplicità ed esperienza, schiettezza ed umiltà. Tutte qualità che appartengono ad Alessandro Dettori, artigiano del vino in terra sarda. Fondamentale per lui è anche quel “buonsenso agricolo”, tramandato da generazioni di contadini, che fa tesoro dell’esperienza e dell’osservazione, pur rimanendo sempre aperto a cambiamenti migliorativi.
“Io non seguo il mercato, produco vini che piacciono a me, vini del mio territorio, vini di Sennori. Sono ciò che sono e non ciò che vuoi che siano”.
Così Alessandro Dettori riassume se stesso e i suoi vini, nei quali non possiamo che aspettarci di ritrovare lo spirito più vero della Sardegna.
Romangia Rosso IGT “Tenores” 2010, 100% Cannonau.
Dimenticatevi i cannonau assaggiati fin qui e assaporate l’eleganza e la potenza di questa voce fuori dal coro. Un naso sorprendentemente dolce e caldo, un’esplosione di frutta rossa matura, confettura di frutti di bosco che regala, sul finale, note di albicocca e miele quasi da passito. In evoluzione ecco volatilizzarsi spezie e sentori eterei.
Il residuo zuccherino di 5 grammi per litro conferisce una leggera nota dolciastra, perfetto trait d’union tra naso e bocca, che racchiude e ammorbidisce la potenza di questo vino in un dolce sorso. Confettura, albicocca, frutta essiccata, ben bilanciate dall’ottima acidità, che, dopo deglutizione, richiama freschezza, ma anche note di rabarbaro e caramello. Il tannino è vellutato e il finale lungo e amaricante. Un vino caldo, ma che maschera bene i suoi 16,5 gradi, perché il Tenores, nonostante struttura e potenza da vendere, è incredibilmente piacevole alla beva.

Nino Barraco racconta che fare vini naturali nasce dall’esigenza di bere vini che rispecchiano la sua terra, la Sicilia, nello specifico il marsalese. L’idea aziendale non è quella di un vino “perfetto”, ma di un vino riconoscibile per la sua personalità, in cui le note dissonanti partecipano prepotentemente alla caratterizzazione dello stesso. “ci devono essere parti in disarmonia per avere l’armonia, altrimenti il vino è stucchevole”
Nino è solo a produrre vino e quindi nessuno meglio di lui sa che “il vino si fa con le mani, in maniera plastica, è una cosa viva” e che “le parole del produttore devi trovarle dentro al bicchiere, altrimenti vuol dire che te la stai cantando”.
Ed è proprio così, perchè lo Zibibbo 2012 è un vino che prende da chi l’ha fatto. Che si tratta di un vitigno aromatico lo si percepisce immediatamente, ma i profumi non sono quelli che ci si aspetta da un’uva moscato, nel bicchiere esplodono agrumi, basilico e menta. In evoluzione si addolciscono e si aggiungono il cappero e la più classica albicocca. Un naso complesso e di un’intensità che sembra non avere fine. In bocca la corrispondenza è piacevolissima e il primo sorso riporta tra gli agrumeti dell’isola sfiorati alla brezza marina. Un vino estremamente equilibrato ma con freschezza e sapidità salde che invogliano a stapparne una bottiglia tra qualche anno.
Non è la prima volta che assaggiamo lo Zibibbo di Nino, ma questa annata è davvero sorprendente. Come confermato da Nino ci è voluto del tempo per ottenere questi risultati, ma se questo è il tasso di miglioramento, aspetteremo con pazienza e curiosità anno dopo anno.

Non capita tutte le sere di degustare vini raccontati direttamente da chi li ha visti nascere, crescere e modificarsi… torno a casa soddisfatta e vogliosa di andare direttamente in cantina,  dove, sono quasi certa, farò delle bellissime esperienze, umane e sensoriali.