Premessa, doverosa: non è mai stata fatta una degustazione di diversi perricone o pignatello aperta al pubblico. 

A Terroirvino (evento di cui abbiamo parlato separatamente qui) si fanno cose che altri non fanno e si è dunque pensato di chiedere a Marilena Barbera di Cantine Barbera e Marco Sferlazzo di Porta del Vento di abbattere questo limite e di rendersi precursori, ambasciatori di un vitigno che sta progressivamente perdendo superficie: nel 2008 gli ettari erano 340, nel 2012 – ultimo dato conosciuto – si è scesi a 192 e non c’è da meravigliarsi se nel frattempo fossero ancora diminuiti.
Eppure fino agli anni sessanta era il vitigno a bacca rossa più coltivato nella Sicilia occidentale. Poi cosa è successo? È arrivato… il nero d’Avola, spinto dal mercato soprattutto internazionale e sostenuto dalle conseguenti risorse investite a danno dei vigneti di perricone, rimasti ad oggi lo 0,3% del vigneto complessivo siciliano.

Marilena e Marco a Terroirvino, presso Villa Lo Zerbino, hanno animato lunedì 22 giugno una Degustazione dal basso, caratterizzata dal tono informale e privo di orpelli, in grado quindi di trasmettere al meglio le conoscenze acquisite in anni di esperienza in vigna e in cantina, esperienze che non rimangono impigliate in linguaggi forbiti o posizioni incontestabili. Perché le degustazioni dal basso hanno un motto e va rispettato: No guru, no idols.
I due produttori ci hanno parlato del perricone raccontandoci come sia stato portato in Sicilia dai Fenici, popolo di grandi navigatori. Ha similitudini con il sangiovese e con il ciliegiolo ma anche con altri vitigni in tutta Italia.
I motivi della crisi del perricone – in termini di superficie vitata – sono molteplici e Marco li ha spiegati sinteticamente:
L’emorragia di perricone dal dopoguerra sta rallentando ma non si è fermata: occorre suscitare maggiore attenzione a questo vitigno, prima che scompaia. Il perricone è un vitigno che dà vini che hanno bisogno di tempo per potersi esprimere al meglio, basti pensare che al momento Perricone 2014 in commercio non se ne trovano. I vinaccioli dell’acino hanno sempre una forte tendenza vegetale che finisce per influenzare il vino: l’azienda che lo produce deve quindi mettere in conto una permanenza di almeno due anni prima di poterlo commercializzare”.
Marilena racconta: I produttori di perricone in Sicilia sono circa dodici, non di più. È difficile trovare notizie sul perricone, nonostante in Sicilia occidentale rappresenti il territorio meglio del nero d’Avola. Tutto ciò che si trova sulla riva sinistra del Belice si chiama pignatello, ciò che si trova sulla riva destra si chiama perricone e ciò dipende dal tipo di terreno: nella parte sinistra la terra era più rossa con maggiore presenza di argilla. Con quella terra si facevano le pignate, pentole di argilla, da cui prende il nome il pignatello. 
Continua, Marilena, con una considerazione che solo chi vive la terra del sud può fare con cognizione:

Nelle annate calde in Sicilia – contrariamente alle regioni del Nord – la maturazione fenolica è in pericolo, perché l’uva brucia sulla pianta, rischia di andare in arresto vegetativo e bisogna tirarla giù. Il perricone ha una predisposizione con sentori vegetali e tannino importanti per cui nelle annate fresche riesce meglio, si ha una maturazione fenolica completa”.

Marco coglie l’occasione per alcuni dettagli:
Il perricone non ha gran colore né molto alcol e nemmeno grandi quantità; risente molto del sistema di allevamento, del suolo, del clima: è per questo che è un testimone fedele del territorio dal quale proviene. Nel perricone coesistono le componenti fruttate e quelle erbacee tipo timo, note balsamiche a volte molto evidenti. Sulla scia del nerello mascalese anche le poche bottiglie di perricone che si riescono a produrre stanno tracciando un percorso nel mercato nazionale e internazionale. 

Infine una considerazione storica:

In passato l’unità di misura per la vendita dell’uva in Sicilia era l’ettogrado, vale a dire il quintale di uva commisurato al grado zuccherino. Più era zuccherina l’uva e più era pagata, questo spiega perché molti vini siciliani tradizionalmente sono ricchi di alcol. 

Abbiamo degustato cinque vini, partendo da Vigna del Core 2013 di Feudo Montoni, prodotto nell’area tra Caltanissetta e Agrigento, a seicento metri sul livello del mare, caratterizzato da sentori di prugna e spezia dolce, nonché da una buona rotondità al palato. Piacevole la mineralità di fondo, convertita in gradevole sapidità al palato.
A seguire Rosso di Marco 2013 di Marco De Bartoli, al cui naso gioviale di more e lamponi maturi segue un sorso pulito e di struttura. Il tannino non sgomita, anzi risulta molto ben amalgamato, come armonico è il vino nella sua complessità. Non inganni la facilità di beva: ha classe, stoffa tutta da scoprire, sorseggiandolo da solo o affiancandogli un piatto, rigorosamente made in Sicily.

Marco Sferlazzo ci parla del suo Maquè Perricone 2013 di Porta del Vento: le uve sono state raccolte il 12 ottobre, la fermentazione è avvenuta in tini da 50 ettolitri in rovere di Slavonia per circa quindici giorni. Devo dire che ho trovato questo vino molto equilibrato, con una doppia anima: una estroversa, giovane, pimpante, data dal naso fruttato e dal nerbo acido e un’anima più riflessiva, strutturata e rivolta al futuro, laddove il tannino lascia intuire una certa longevità.

A Marilena piace particolarmente parlare del suo Microcosmo, provato in questa degustazione nell’annata 2012, le brillano gli occhi ed io so perché: dietro a questo vino c’è davvero un mondo complesso ed in equilibrio. Il vigneto dal quale proviene è costituito da piante di perricone e nerello mascalese con la proporzione di dieci a una. Le varietà sono due ma il vigneto è uno e come tale va trattato: tutte le lavorazioni e la raccolta avvengono contemporaneamente per entrambe le varietà, individuando nella vigna una sola entità, un vero microcosmo. 

Subito dopo è il turno di P di Francesco Guccione, uno dei più rappresentativi produttori siciliani nell’ambito dei cosiddetti “vini naturali”. I terreni dai quali provengono le uve sono argillosi calcarei, in quel di Monreale a 350, 400 metri sul livello del mare. Intenso e variegato, spicca per un sentore nitido di spezia esotica, incenso, grafite e tamarindo; bel dinamismo al palato e chiusura ammandorlata, classica per questo vitigno.
Infine il Pignatello 2008 di Nino Barraco, proveniente da uve coltivate in terreni ricche di argille. Il meno giovane tra i vini in degustazione, appare concentrato e fiero, di notevole intensità olfattiva ed al palato masticabile, tridimensionale, croccante e mai – dico mai- troppo espansivo. L’acidità è ancora integra e ben duetta con la salinità; pregevole il finale. 
Terminata la degustazione, rimane il tempo di qualche considerazione finale: sosteniamo il perricone, acquistiamolo, beviamolo, facciamolo conoscere, non ha nulla da invidiare a vini sulla carta più blasonati, anzi.
E poi, bevendo perricone, compiamo un atto rivoluzionario: si cerca di cambiare il corso delle cose, la piega data dalle logiche del mercato, massive  e impersonali e noi – amanti della bellezza e delle cose buone – non possiamo permettere che una cosa bella e buona vada dispersa. 
Fate come noi: scegliete il bello, bevete il buono, bevete perricone!