Il mondo orientale, nella sua accezione più ampia, mi ha sempre affascinato, tanto che nella mia personalissima e definitiva “to do list” c’è la voce “un viaggio in Giappone”.
Quando ci hanno invitato a una serata speciale dedicata ai sake di Tohoku, quindi, non ho avuto affatto problemi ad accettare. L’evento, organizzato dalla Tohoku Enonomic Federation (Tokeiren) in collaborazione con la ‘Via del Sake’ si è tenuto lo scorso 26 maggio presso Vinodromo, noto bistrot di Milano, nell’ambito del programma “Taste of Tohoku”.
La regione di Tohoku, a nord est del Giappone sull’isola di Honshu, è tradizionalmente quella più dedita all’agricoltura ed è stata la più colpita dal terremoto e successivo tsunami del 11 marzo 2011, una tragedia che ancora oggi ricordiamo nitidamente.
Che cos’è quindi il sake? Sake in giapponese significa letteralmente “bevanda alcolica”, mentre quello che noi chiamiamo sake in Giappone si chiama Nihonshu. È una bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso, motivo per il quale spesso è definito “vino di riso”. L’amido contenuto dal riso è tuttavia infermentescibile per cui per scomporlo in zuccheri più semplici consumabili dai lieviti ed avviare la fermentazione è necessario raffinarlo attraverso la cottura al vapore e la successiva inoculazione di una muffa, denominata kōji. Generalmente più si raffina il riso più è delicato il sake che se ne ottiene: un chicco di riso destinato alla produzione di sake può perdere fino al 60% del rivestimento esterno. Il riso utilizzato non è il medesimo che arriva sulle nostre tavole: in natura vi sono circa dieci tipi di cloni di riso specifici per fare il sake.
I presupposti fondamentali per ottenere un buon sake sono quindi il riso e l’acqua: nel Tohoku vi è grande disponibilità di entrambi e di ottima qualità e va da sé che che vi si produce tanto ottimo sake. Nonostante la produzione di sake sia fortemente diminuita nell’ultimo secolo, il sake rappresenta tuttora un simbolo della cultura nipponica ed accompagna ogni brindisi.
Dopo questa doverosa premessa tecnica partiamo con il descrivervi la degustazione del Vinodromo, curata da Marco Massarotto de La via del Sake, coadiuvato dal sommelier Mototsugu Hayashi.
Il primo sake è Shizenshu Junmai, del tipo Ginjo, da Gin (armonioso) e Jo (fermentazione), proveniente da riso raffinato al 50%, abbinato a una vellutata di fave. Il sake ha naso intenso di pera e mela, morbido, quasi dolce, con finale olfattivo leggermente erbaceo.
In bocca si percepisce molto l’alcol, che gioca quindi un ruolo importante. Le morbidezze sono senza dubbio prevalenti, mancando quasi totalmente la componente acida. Personalmente avrei voluto provarlo ad una temperatura più bassa.
Il secondo sake è Oshu Hikari Ichidai Junmai, anche questo Ginjo, con il chicco raffinato al 55%. Naso meno alcolico del precedente, ma certamente sulle stesse note olfattive con in più una leggera e piacevole nota medicinale. In bocca risulta più salato, certamente secco e ben si abbina con la tartare di Salmone selvaggio e riso rosso Ermes della Cascina Falasco di Casalbeltrame (NO) e con il tonno in carta di riso e avocado.
Il terzo sake infine è un Ichinokura Fuyumizu Tambo Tokubetsu Junmai, con 55% di grado di raffinatezza del chicco di riso. Al naso ha un forte sentore di mela verde, ed un’intensità quasi di grappa: il profilo alcolico è pronunciato ma qui è maggiormente integrato nel corpo comunque agile. Questo sake è stato abbinato a tocchetti di Parmigiano Reggiano monolatte 36 mesi del caseificio Bio Pratichiera di Fontevivio (PR).