Negli ultimi anni in Italia sta fortunatamente attenuandosi la tendenza a considerare i vini rosati figli di un dio minore, grazie anche alla spinta di paesi esteri – primo tra tutti la Francia – ove questa tipologia di vini ha una dimensione più consona rispetto a quella del nostro Paese. Basti pensare che la Francia è il primo produttore al mondo di vini rosati, con oltre il 40% della produzione mondiale ed i Francesi sono i primi consumatori in assoluto, bevendone da soli ben il 36% della produzione globale. L’Italia è il secondo Paese per produzione ma gli Italiani ne bevono solo il 6%, attestandosi dietro Stati Uniti e Germania: fa riflettere inoltre il dato che vede il nostro Paese primo esportatore al mondo di vino rosato (dati forniti da FranceAgriMer per l’annata 2012).
Le ragioni di questo andamento sono molteplici: per esempio mentre in Francia un’intera macro regione, la Provenza, ha caratterizzato la propria produzione sui vini rosati di qualità, in Italia le produzioni avvengono in aree geograficamente più piccole, pur contando spesso su una lunga tradizione (due nomi su tutti: Garda lombardo e Salento).
Il grande lavoro delle aziende impegnate nella produzione di vini rosé, innanzi tutto, nonché quello dei comunicatori del vino in seconda battuta, sta gradualmente riportando il vino rosato là dove gli compete: non più prodotto subordinato bensì vino con peculiarità e fascino propri, in grado di appagare anche i palati più sofisticati.
Roséxpo, giunto alla sua seconda edizione, ha inteso rilanciare ulteriormente l’immagine dei vini rosati nel corso di un intenso week end leccese durante il quale arte, musica, letteratura e cucina hanno accompagnato i visitatori alla riscoperta dei rosé nel loro significato più ampio.
Siamo stati con Alessandro Malcangi – il nostro talent scout dei vini campioni del rapporto qualità/prezzo – alla degustazione Roséxpo di 165 etichette italiane ed estere, tenutasi al castello Carlo V di Lecce. Una location veramente particolare, come quelle che piacciono a noi, immerse in un contesto storico importante ma senza perdere di vista la funzionalità dell’evento. Ben fatto!
Citiamo quattro vini tra quelli che abbiamo provato, partendo dal Santimedici 2014 di Castel di Salve, da uve negroamaro, fresco, di buona struttura, dotato di un piacevole allungo.
A seguire abbiamo con piacere degustato Scaloti 2014 di Cosimo Taurino, uno dei nomi tradizionalmente più importanti nel panorama vinicolo salentino. Proveniente da uve negroamaro, Scaloti non nasconde all’olfatto una decisa vena alcolica e forse meriterebbe una temperatura di servizio più bassa. Il naso di ciliegia e origano precede il sorso strutturato, in cui l’impronta tannica è contenuta e fiera. Da abbinare con tranci di pesce al forno.
Lasciando il Salento risaliamo fino al Trentino con il Lagrein Rosé 2014 di Hofstatter. Il lagrein è un vitigno che ben si presta alla vinificazione in rosato: cerasuolo molto luminoso, possiede trama olfattiva di grande personalità, incentrata su fiori bianchi e gialli ma anche polpa di frutta rossa fresca. Al palato assicura originalità e appagamento, struttura e lunghezza.
Visto che si possono ottenere ottimi rosati anche fuori dai luoghi di elezione, proviamo con un rosato francese lontano dalle vigne provenzali, in particolar modo con quello di Etienne Guigal, della denominazione Côte-Rôtie, Rodano settentrionale. Tavel 2013 è un blend di uve tipiche, a maggioranza grenache e con cinsault, clairette e syrah. Ci aspettavamo un rosé di corpo e di grande persistenza, in realtà abbiamo trovato più delicatezza che vigore. Gli aromi abbracciano i sentori tipici di macchia mediterranea e frutta fresca ed in bocca manifesta una agilità davvero insospettabile. Per chi ama le sorprese.