Quattro anni. Quattro anni dalla prima edizione del Food and Wine festival, la kermesse milanese dei vini selezionati da Helmuth Köcher deriva del Merano Wine Festival.

E’ andata bene mi sembra, benissimo.

Certo tanta gente domenica, a tratti calca.
E poi che fatica entrare! Braccialetti antieffrazione in technicolor per gli accreditati, per definire le zone d’ingresso consentite (ricordiamo che in contemporanea c’è Identità Golose, per carità).
Bodyguard palestrati con auricolare incorporato e licenza di uccidere. Controlli serrati ai piani e occhi vigili. Indagatori.
Un amico, con il pass espositore ma senza braccialetto lasciapassare, ha rischiato di rimanere fuori… Ho dovuto rincorrere per la sala la responsabile dei braccialetti e implorare un suo intervento.
Mi sembrava di stare alla Casa Bianca… nemmeno fossimo in visita al caveau di Fort Knox!
Che poi, d’accordo, con i tempi che corrono meglio stare sicuri anzichenò (cit.).
Poi c’è il capitolo calice-da-degustazione-in-comodato.
10 euro. 10 EURO? Non è una cauzione ma una punizione se malauguratamente ti cade per terra. E devi riconsegnarlo insieme al bigliettino che se lo perdi, il calice, lo tiri tu a terra…
Per il resto tutto bene.
Ah, a parte qualche altra piccola nota a margine. Per esempio, in passato ai desk potevi trovare del pane fresco per accompagnare il vino. Goloso. Buonissimo.
Quest’anno abbiamo dei tristissimi, come posso chiamarli, cosi, a forma di fagottino ripieni di aria. Croccanti e insapore.
Punto di vista personale.
Per il resto tutto bene, torniamo a noi piuttosto e concentriamoci sul protagonista del giorno, il vino italiano.
Ed ecco qualche spunto interessante.

Colombo è la prima meta della giornata e anche una bella sorpresa. Giovane realtà in forte espansione da 40.000 bottiglie l’anno, sita nello splendido territorio della Langa Astigiana, e frutto della passione del dottor Antonio Colombo. Hanno iniziato nel 2006 ma fanno sul serio già dal 2010.

Proviamo quasi in anteprima il metodo classico Piemonte Chardonnay Doc millesimato 2011 Silviandre. Dal color buccia di cipolla scarica è un brut da ingresso fragrante dai netti ritorni di viola gradevole e pulito.
Mi soffermo di più sul Piemonte Doc Pinot Nero Apertura, il cavallo di battaglia dell’Azienda. Dovete sapere che il Pinot Nero fu importato da Cavour direttamente dalla Borgonga e lì, nella zona di Bubbio in altre zone molto fresche, ha trovato un clima di elezione.
Botte grande prima e tonneaux dopo regalano un naso tipico su sentori animali di carne, lieve speziatura alla paprika e cannella, bocca in linea e tannino addomesticato e ben dosato. Ma non solo. E’ il territorio che comanda e che conferisce quel carattere austero, tipico che ci si aspetterebbe da un vino piemontese.
Cotarella ha fatto un bel lavoro in questo caso.
Interessante infine il Piemonte Doc Moscato passito Tardì.
In appassimento controllato in fruttaia, per evitare un eccessivo residuo, affina in piccole botti di rovere per circa un anno.
Un tripudio di terziari. Acetone, vernice, uva passa. Ciò che colpisce è però la grande acidità che bilancia ottimamente il sorso e ti invita a finire la bottiglia. Un moscato differente da bere a canna.
Piccola parentesi da Lunae Bosoni dove non posso mancare il Colli di Luni Vermentino Doc Cavagino. Nasce dalla selezione dei migliori grappoli di un unico vigneto con caratteristiche particolari il cui 30% viene affinato in barrique e successivamente unite alla restante parte passata in acciaio.
Profumatissimo al naso su salvia, menta, agrume e note evolute iodate molto interessanti. In bocca ancora qualche asperità citrica ma è un vino da attendere e, in prospettiva, dalla lunga e solare vita. Già così lascia la bocca piacevolmente ammaliata.
Sapete come la penso e per non smentirmi torno sempre con piacere alle origini e alla mia Sicilia. Due assaggi due stavolta. Niente di più.
Fra Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela a circa 30 km da Palermo, Baglio di Pianetto è una realtà consolidata non solo in Italia ma anche nel mondo.
Ficiligno è il nome non solo del vino ma soprattutto della pietra silicea del substrato locale dove le radici delle viti, penetrando e spaccandole nel corso degli anni, ne assorbono il carattere minerale.
Il Sicilia Doc Ficiligno 2013 è blend di Inzolia e Viogner; primo vino della Casa e fortemente voluto dai Conti Marzotto, è frutto di ben tre diverse vendemmie per ciascun uva.
Prima raccolta ad agosto per la base acida, quindi a settembre durante la maturazione tecnologica e infine in surmaturazione ad ottobre.
Vinificazioni separate e assemblaggio finale fra gennaio e febbraio. Tecnicamente perfetto e dal gusto internazionale non può non piacere per la grandissima bevibilità e per queste sue caratteristiche gusto-olfattive a tutto campo dal lime alla frutta matura ed esotica. Certo è un vino lavorato e questo potrebbe snaturare un po’ il concetto di vino del territorio.

Il secondo vino è un’eccezionalità. Almeno fino ad oggi. Parlo del Vino Bianco Ciuri 2013 a base Nerello Mascalese di Terrazze dell’Etna. Sì… un Nerello Mascalese (l’unico?) vinificato in bianco! E l’ho trovato eccezionale. Vinificato solo in acciaio è una lama tagliente, un rasoio che fa di freschezza e sapidità le sue carte vincenti. Anche il naso è vibrante, quasi roccioso sui toni della frutta fresca esotica e lampi aromatici di piante officiali. Una grande sorpresa, mi ricorda alla lontana il Pietramarina di Benanti… e ho detto tutto.

La Fondazione Edmund Mach, continuando la mission dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige si occupa dello sviluppo del territorio in termini di sostenibilità ambientale, accesso alle risorse alimentari, produzione e approvvigionamento energetico. Consci del grande lavoro e della professionalità che li distingue proviamo il Trento DOC Riserva del Fondatore Mach 2010.

Non servono molte parole. E’ uno di quei vini che identifichi molto facilmente con un solo termine. Buono. Punto. Schietto e di bella struttura va su tutto, dall’aperitivo in poi.

Molto interessante infine il Terradeiforti Doc Enantio 2010 di Cantina Roeno. Meglio conosciuto come Lambrusco a Foglia Frastagliata oppure Erbanno in Valcamonica, ha un naso sui tratti neri del tamarindo, tostatura del caffè nero, nerissimo e un erbaceo da fieno che torna al palato insieme al resto e permane, lungo. Bel vino dal colore rosso intenso, impenetrabile, dal profumo ampio e dal grande  tannino. Troppo in passato. Complessivamente difficile, dal carattere un po’ scorbutico forse che ha avuto bisogno delle moderne tecniche di vinificazione per essere presentato in purezza.  Un gran vino, oggi, da scoprire a piccoli sorsi.

Relativamente all’evento mi sembra di intravedere aria di declino all’orizzonte, non tanto per carenza di visitatori, quanto per qualità in generale, soprattutto relativamente al prezzo (20-25 euro l’ingresso più eventuali 10 euro a piatto, più 10 euro di cauzione per calice ecc) e per l’assenza di alcuni produttori meritevoli. Basti pensare che erano 400 le etichette in degustazione nel 2013… E’ come se, considerando il periodo storico inflazionato per il food, Identità Golose stia letteralmente prosciugando il Food and Wine Festival di Milano, relegandolo ad evento di secondo piano.  
Questo è il mio parere, voi che idea vi siete fatti?

Ecco gli orribili fagottini in “abbinamento”