Mercoledì 15 ottobre si è tenuto a Milano un evento organizzato da Civiltà del bere, The White Experience. Ed ora vi raccontiamo… la nostra esperienza!

La location, il Garden dell’Hotel Manin, era facilmente raggiungibile e molto suggestiva. L’arredo in vimini e le candele sparse per il giardino rendevano senz’altro un effetto gradevole agli occhi e allo spirito. Trovandoci all’esterno l’illuminazione era più indicata all’ambiente lounge di un aperitivo milanese che a un banco degustazione, d’altronde un minimo di atmosfera richiede qualche rinuncia…

Più di venti aziende presenti, per un banco di degustazione, come il nome dell’evento suggerisce, di soli vini bianchi. 

Tasca d’Almerita:  da otto generazioni la famiglia Tasca lega il proprio nome alla cultura enologica, culturale e sociale siciliana. Un percorso in continua crescita, partito negli anni Sessanta dalla vendita del vino sfuso fino a raggiungere il successo ed i premi odierni. Quasi seicento ettari di viti in tutta la Sicilia, da Marsala a Salina, passando per l’Etna: un quinto della produzione è dedicata ai vitigni internazionali, ed è fra questi il vino che proviamo: lo Chardonnay 2012 si veste di giallo dorato luminoso ed intenso. All’olfatto prevalgono note di banana e pesca, ancora subordinati ad aromi boisé di vaniglia. In bocca è intenso, rotondo e fresco. L’annata 2005 manifesta maggiore complessità olfattiva caratterizzata da sentori esotici intervallati da lampi di mimosa, burro fuso e agrumi dolci. Il sorso è scevro da sentori da legno ed è pieno, avvolgente ed appagante e restituisce molto di quanto percepito al naso, conducendo per mano verso un finale lungo e gradevole. 
Perla del Garda: l’azienda di Lonato del Garda porta in degustazione Madre Perla, un trebbiano di Lugana in purezza proveniente dai vigneti San Carlo e Casalin: le annate 2009 e 2007 appaiono ancora equilibrate e in forma, dalla freschezza ancora vigorosa e dal buon corpo. L’annata 2006 svela sentori naturalmente più complessi, buccia di mela e frutta matura, morbido in bocca senza trascendere in cedimenti, dalla giusta freschezza e con una vena minerale intatta e piacevole. 

Beni di Batasiolo: la famiglia Dogliani gestisce con passione circa centosette ettari sparsi nelle Langhe, producendo i vini rossi che hanno reso famoso la zona ma senza trascurare la vocazione di alcuni vigneti, più adatti a vini bianchi. E’ il caso del Morino, un cru di chardonnay proveniente dall’omonimo vigneto offerto in degustazione con l’annata 2012. Si presenta giallo dorato e accattivante profilo olfattivo, fondato su classici sentori varietali, glicine, frutta secca e vaniglia, cui si alternano gradevoli lampi minerali. Al gusto non vi è preponderanza di legno, evidentemente molto ben gestito e anzi la struttura è agile ma non monocorde, con la giusta sapidità ben in evidenza. Uno chardonnay tecnicamente ineccepibile. 

Umani Ronchi: azienda tra le più note nelle Marche, la Umani Ronchi ha saputo coniugare dall’anno della sua fondazione, il 1957, due esigenze apparentemente in antitesi: la produzione di qualità con quella destinata al largo consumo. Duecento ettari, suddivisi in dieci cru abruzzesi e marchigiani, indirizzati ai vitigni autoctoni, certo, ma anche alle varietà internazionali. Il Verdicchio Riserva Plenio 2010, è giallo paglierino, con esordio olfattivo intenso, su note alcoliche innanzi tutto cui segue in successione frutta fresca e cedro, miele e camomilla. L’acidità sostiene una buona struttura e manifesta tutta la longevità di un vino che può ancora migliorare. L’annata 2006 ha colore più tendente al dorato. Naso franco e complesso: ai sentori di frutta tropicale ed erba aromatica seguono quelli che il tempo ha donato a questo vino: tostatura, nocciola, su un fondo minerale quasi iodato. Al sorso è rotondo e tuttavia ancora fresco nonostante l’età, non più giovanissima.

La Scolca: una delle aziende che mi incuriosiva di più. Il sito di Civiltà del bere la presentava promettendo “una stupefacente scala delle annate” di Gavi dei Gavi: 2013, 2007 e 1989.

Iniziamo con la 2013, fresco e vegetale, composto e gradevole, appare giovane ed esuberante ma di certo promettente. Acidità e concentrazione di profumi elevata. Da attendere, fiduciosi.

Il 2007 di primo acchito ha naso interlocutorio ma beva agile e piacevole: dopo qualche minuto di ossigeno svela sentori di grafite e frutta secca, ben amalgamati con una nota di idrocarburi ed orientati a un sorso armonico e lungo finale. E la 1989? Dal banchetto mi rispondono “Questa sera abbiamo la 2007 e la 2013 in degustazione, la 1989 in esposizione“. In esposizione?! Credevo di essere a un banco degustazione, non a un museo! E dire che si trattava dell’assaggio che mi intrigava di più dell’intero evento… Peccato, non serve aggiungere altro per uno scivolone – dell’azienda o dell’organizzazione – che si poteva evitare.

Lunae Bosoni: una delle realtà più rappresentative della produzione ligure. Il vermentino Numero Chiuso 2009 è una rarità, prodotto in poco più di 2.500 bottiglie, frutto di una selezione attenta dei migliori grappoli e di una vinificazione lunga ben quaranta mesi. Il vestito paglierino che indossa esibisce luminosità intrigante, cui segue importante consistenza nel calice. Al naso è una sinfonia, composta e fiera, di scorze di agrumi, melone, note di pietra focaia, tocchi di incenso e miele. E profumo di mare, per lunga persistenza aromatica che rimane impressa anche a calice lontano. Al gusto avvolge e rinfresca, carezza tridimensionale, acida e dissetante, dove struttura e sapidità sono uniti in perfetto matrimonio. Chapeau.

Falesco: l’azienda umbra ha fatto propria una filosofia fondata su senso di appartenenza al territorio e passione per la viticoltura. I risultati sono vini come Ferentano, ottenuto da uve roscetto, vitigno autoctono del nord laziale e snobbato dai produttori fino a quindici anni fa, principalmente per la bassa resa e scarsa vigoria. Il 2012 è giallo paglierino, con approccio olfattivo intenso di fiori gialli e frutta tropicale, leggero sentore boisé affiancato da una nota di erbe aromatiche. In bocca è equilibrato, scandendo bene tratti sapidi ad adeguata morbidezza; la freschezza è naturalmente ancora ben presente e garantisce un sorso pulito, preciso ed agile. E’ un vino già affidabile oggi ma con ottimi margini di miglioramento nei prossimi anni. Da tenere nella propria cantinetta.