La terza edizione del mercato dei vini della FIVI, tenutasi alla Fiera di Piacenza, è un appuntamento che avevo segnato in agenda già da qualche mese, nella granitica certezza che non lo avrei mancato. C’ero stato anche l’anno scorso e mi ero molto divertito; la mattina di sabato 30 novembre scatto quindi pimpante dal letto e mi rendo conto che le condizioni meteo non sono granché. La neve sembra voler accompagnare l’evento anche quest’anno, così i miei amici ed io decidiamo di accantonare l’automobile e mettere in atto il piano “T”, che vuol dire “Treno”. Scopriamo, dando una occhiata veloce al sito, che c’è anche una navetta che fa spola dalla Fiera alla stazione ferroviaria: una piacevole sorpresa che si rivelerà determinante.
I locali della Fiera di Piacenza ben si prestano all’evento: spazi larghi, file dei banchetti degli espositori ben distanziati, qualche strategica panchina per riposarsi. Giungiamo intorno a mezzogiorno, non c’è calca e tra i presenti noto diverse facce note del mondo del vino. Bene, possiamo iniziare.

L’azienda Bosio in Franciacorta è uno di quei nomi che riscuotono sempre successo tra i miei amici sommelier e tuttavia non avevo ancora avuto modo di provare; assaggiamo subito il Satèn, ottenuto da chardonnay. Al perlage molto fine corrisponde un delicato impatto olfattivo di gelsomino con piacevoli sbuffi agrumati. Fresco e sapido, ha una delicata struttura che lo rende compagno piacevole sia per l’aperitivo che pasti leggeri. Il Brut è una cuvée di chardonnay al novanta per cento e pinot nero per la restante parte, sboccato nel luglio 2012. Anche in questo la fine bollicina precede un naso fine ed espressivo, fiori gialli soprattutto, pasta di pane e leggermente fruttato; sorso appagante e cremoso, rimane comunque agile e scattante, di piacevole beva. Per la serie non ci si stanca mai di berlo.

Infine proviamo il Brut Millesimato 2008, dove è aumentata al trenta per cento la percentuale di pinot nero che si unisce a quella di chardonnay; trenta mesi sui lieviti. Bollicine esuberanti e fini, naso fragrante di pane appena sfornato, piacevole e suadente. La bocca è premiata da un sorso equilibrato, dove le caratteristiche dei due vitigni sono state attentamente calibrate per non generare sbilanciamento. L’eleganza e l’acidità dello chardonnay abbracciano la struttura e la rotondità del pinot nero, sciogliendosi in un volume carbonico di pregio. Gran bel vino.
Pochi metri più in là troviamo il banchetto di Cavalleri, azienda appartenente ad una delle famiglie più antiche di Franciacorta: pensate che un atto notarile già nel 1450 certifica l’acquisto di un terreno ad Erbusco da parte della famiglia. Gian Paolo e Giovanni Cavalleri, fondatori dell’azienda, iniziarono la propria avventura nel 1968: la filosofia, oggi come allora, è basata sulla valorizzazione delle caratteristiche del territorio, concentrando gli sforzi per ottenere uve sane e facendo in modo che il successivo intervento in cantina esalti le peculiarità del frutto, senza stravolgerle. Cavalleri, inoltre, vinifica ed affina separatamente le singole particelle, creando solo a vino compiuto la base destinata a diventare spumante. Interessante e complessa scelta produttiva che dà – comunque – i frutti sperati. Vediamo come.
Il Brut 2010 è uno chardonnay in purezza a dosaggio zero: inusuale giallo paglierino tendente al cedro, naso lieve ed agrumato, sorso molto fresco e dalla buona corrispondenza gusto olfattiva. 
Il Satèn si presenta con un luminoso giallo paglierino,  naso pulito di fiori bianchi e pasticceria cui seguono aromi di frutti a polpa gialla su base agrumata. In bocca è soffice e cremoso, sapidità senza cedimenti. Un Satèn coi fiocchi.  
Infine abbiamo l’occasione di provare una bottiglia speciale, Giovanni Cavalleri Collezione Esclusiva 2005, affinata ben otto anni sui lieviti: giallo paglierino con riflessi dorati, perlage esuberante e fine, quadro olfattivo complesso di frutta a polpa gialla, crosta di pane, note minerali di eccellente finezza. Il sorso non è da meno, equilibrato e aristocratico e notevole sapidità tattile di fondo. Magnifica espressione di chardonnay.   
  
Spostandoci idealmente di una decina di chilometri, ci imbattiamo in un’altra azienda fiore all’occhiello dell’identità franciacortina, Il Mosnel, attualmente condotta dalla quinta generazione della famiglia Barzanò Barboglio. Il primo vino ad essere provato è il Brut, costituito da sessanta per cento chardonnay, trenta per cento pinot nero e dieci per cento pinot bianco; ventiquattro mesi sui lieviti. Impatto olfattivo lieve di frutta bianca fresca e fiori bianchi, in bocca è morbido e vellutato ancorché fresco e minerale. Finale impercettibilmente dolciastro.  
Il Pas Dosè ha la stessa percentuale di vitigni del Brut, ma sosta sui lieviti un anno in più. Naso di miele millefiori, lieviti da forno, mineralità evidente già all’esame olfattivo. L’assaggio è appagante, il sorso si distribuisce in bocca snocciolando una ad una le caratteristiche del vino, in un armonico rimpallo tra morbidezze ed energie. Finale medio lungo, predispone la bocca ad un nuovo ed immediato sorso. Chapeau!
E’ il turno del Satèn Millesimato 2009, chardonnay in purezza, trentasei i mesi sui lieviti. Perlage finissimo e collerette spessa, abbaglia di giallo paglierino con riflessi dorati. Naso complesso di cedro, erbe di montagna, lieve tostatura, cipria. Al gusto è di corpo, avvolge il palato con grazia e decisione, su uno spartito elegante di sapidità e mineralità. 
L’azienda Haderburg prende il nome dal castello che sovrasta Salorno, in Alto Adige, zona vocata alla viticoltura da moltissimo tempo. Il Brut è il primo vino che degustiamo: 85% chardonnay e 15% pinot nero, fermentazione ed affinamento in acciaio; paglierino luminoso e cristallino, sprigiona bollicine fini ed interminabili. Pulito e minerale al naso, denota aromi lievi erbe di montagna e agrumi freschi. Beverino e nervoso, al gusto conferma i ricordi agrumati del naso, trasportati dall’effervescenza vivace eppure morbida. 



A seguire proviamo non senza curiosità Hausmannhof Riserva 2004, il prodotto di punta fra gli spumanti di casa Haderburg. Prodotto solo nelle annate considerate ideali per il raggiungimento di un elevato standard qualitativo, Hausmannhof è uno chardonnay in purezza affinato per otto anni sui lieviti; se ne producono solo tremila bottiglie. Paglierino cristallino, vivacizzato da brioso perlage continuo; al naso è finissimo: ampio ed intenso, dona sfumature di pompelmo, pesche gialle, frutta secca, miele millefiori, sfaccettature minerali infinite. In bocca non tradisce: gusto secco, pieno e volumico, senza aggressività si dispone elegante, suadente e fresco, richiamando quanto avvertito al naso e scandito da mineralità salina impressionante. Eccellente!   
Lasciando la Franciacorta ci dirigiamo rapidi verso il banchetto di un’altra azienda che non ha bisogno di presentazioni. Nel panorama enologico nazionale Les Cretes si è ritagliata ormai da tempo uno spazio unico come lo stile riconoscibile che contraddistingue i vini prodotti. L’azienda vitivinicola nasce nel 1989 ad Aymavilles, in Val d’Aosta, per volere di Costantino Charrere che volle così perpetuare la vocazione agroalimentare di famiglia, iniziata già col trisnonno Bernardin. Costantino è un uomo che bada al sodo e senza indugi ha indirizzato la produzione su due binari ben precisi: valorizzazione dell’autoctono e rispetto profondo dell’ecosistema. 
Il Neblù è uno spumante metodo classico pas dosè ottenuto da premetta, varietà autoctona a bacca rossa; cerasuolo con riflessi ramati, esordisce nel mio calice formando una soffice collerette, cui segue una effervescenza rigogliosa.  Naso di lampone e lavanda, non complesso ma molto piacevole, invita al sorso che si manifesta secco e dalla acidità importante, sostenuta da intensa mineralità. Avvolge il palato in modo deciso, è un buon compagno per aperitivi serali, ma anche per pasti a base di primi piatti di pesce. 
Il Petite arvine è un altro autoctono valdostano di cui questo bianco rappresenta una bella espressione: paglierino luminoso, la combinazione olfattiva è tipica del vino di montagna: sentori di pompelmo e frutta esotica, su una costante e piacevole base minerale, specie di pietra focaia. Il gusto è secco, dritto, agile ma non privo di morbidezza e con potenti ritorni minerali. Per chi ama sentire il territorio nel calice. Chiudiamo con lo chardonnay Cuvée Bois 2010, divenuto un classico tra i grandi vini nazionali. Giallo dorato molto luminoso, dona al naso uno stile olfattivo intenso e complesso, fondato sull’intensità ma anche sulle sfumature di frutta gialla matura, vaniglia, petali di rosa, miele ed erbe aromatiche. Il gusto non delude: la morbidezza vellutata richiama un uso attento del legno e viene seguita da una precisa freschezza dotata di spunto minerale. Merita la fama che lo precede.     
Puntando decisamente a sud, ci imbattiamo in una azienda forse meno nota tra quelle visitate fin qui, ma non per questo meno nobile. I Cacciagalli di Teano, nel Casertano, realtà giovane ed ambiziosa fortemente voluta da Diana e Mario che vinificano su un territorio fortemente vocato come quello di Roccamonfina. Due le linee produttive dell’azienda: una classica, con vini affinati in acciaio e legno, l’altra con vini affinati in anfora; entrambe le linee sono accomunate dal rispetto della terra, attraverso i precetti dell’agricoltura biologica e biodinamica. Proviamo il Leneo 2012, falanghina in purezza ottenuta da macerazione per cinque mesi in anfora. Giallo paglierino tendente al dorato, svela la lunga macerazione già alla vista; naso di frutta tropicale ed evidente mineralità, dona un sorso intenso, strutturato, molto fresco e sapido. Lungo finale armonico; prodotto per degustatori alla ricerca di qualcosa di diverso.     
Il nostro giro si chiude con le Tenute Dettori, azienda della quale avevamo già parlato in questo post. Iniziamo con Bianco Romangia 2011, vermentino in purezza. Giallo oro con riflessi ramati, presenta un naso non molto intenso e tuttavia espressivo, con aromi di ginestra, miele e mirto bianco. Il sorso è fresco e non nasconde l’alcol, in complesso strutturato e molto piacevole. 

Il Tenores 2009 è un cannonau granato e luminoso come pochi. La spinta alcolica dona intensità olfattiva fatta di aromi di macchia mediterranea, cappero, resina, sentori di agrume. In bocca è caldo e vigoroso, con i tannini integrati seppur ancora esuberanti. Finale lungo e speziato, è il compagno adatto per meditare insieme ad un buon formaggio stagionato.  
Il momento di tornare è già giunto, il piano “T” ha il grosso difetto di dettare tempi precisi; avremmo voluto incontrare molti altri produttori, anche solo per un saluto, ma in questi casi il tempo è tiranno più che mai. Al prossimo anno!