Prima di avvicinarmi con spirito didattico ai vini tedeschi, la mia opinione era intrisa da una sorta di atavico pregiudizio: come può un Paese noto per la quantità e la qualità di birra prodotta fare del buon vino? Ovviamente mi sbagliavo: me lo ha detto il calice prima ancora che la storia delle regioni vitivinicole tedesche, letta sui libri.

Uno dei problemi principali per la produzione di vino in Germania è il clima, che influisce direttamente sul grado di maturazione dell’uva: proprio per questo il criterio di valutazione dei vini tedeschi è strettamente legato al grado zuccherino, misurato con il grado Oechsle, che quantifica la gravità specifica del mosto prima della fermentazione. Sinteticamente si può affermare che più un’uva riesce a maturare maggiore sarà la quantità di zuccheri riscontrabile nel mosto che se ne ottiene e di maggiore qualità (per il sistema tedesco) sarà il relativo vino. Le latitudini non permettono all’uva di maturare come altrove e non a caso i vini tedeschi sono tra i meno alcolici sul pianeta.

La produzione è principalmente incentrata sui vini bianchi proprio perché le uve a bacca rossa hanno maggiori difficoltà a raggiungere un completo sviluppo. I viticoltori teutonici hanno sfruttato al massimo i vitigni che meglio si adattano alle caratteristiche climatiche locali, quali il muller thurgau, il gewurztraminer, il sylvaner e soprattutto il riesling renano. Tra i rossi possiamo trovare il portugieser,  lo spätburgunder (nome con cui è noto in Germania il Pinot Nero) e il trollinger (nome con cui è nota in Germania la Schiava). I bianchi tedeschi hanno spesso residuo zuccherino anche importante ma sono sostenuti da una acidità senza eguali: il risultato, come dicevo, è un sorprendente equilibrio gustativo non riscontrabile in vini prodotti altrove. Vi risparmio, per ora, la spiegazione vera e propria del sistema tedesco, basato sulla collocazione dei vini in tre macro categorie: i tafelwein (vini da tavola), i QbA (Qualitätswein bestimmter Anbaugebiet) ed i QmP (Qualitätswein mit Prädikat),  i vini di maggior pregio.   

Questa piccola e doverosa premessa va a introdurre un vino che ricorderò a lungo: l’Alte Reben 2002 di Markus Molitor. Tra i bianchi più cari che abbia mai acquistato, ha dimostrato di meritare ogni centesimo. L’azienda si trova nella Mosella e Markus rappresenta l’ottava generazione della propria famiglia a occuparsi di vino. Rese basse, intervento minimo in fase di fermentazione e breve passaggio in legno sono i tratti caratteristici della vinificazione in casa Molitor. “Alte Reben”, ho scoperto, significa vecchie vigne.

Riesling Alte Reben 2002, Markus Molitor. Eccezionale. 

Lo avevo provato in enoteca da Antonio lo scorso ottobre in occasione di un corso sui vini tedeschi e mi era piaciuto moltissimo. Spinto da ricordo così positivo me ne sono procurato un’altra bottiglia ed ho coinvolto Gianpaolo (il quale non si è fatto pregare neanche un po’…) in questo “ritorno in Mosella”. 

Si presenta color giallo oro antico e splendente, decisamente un
ottimo biglietto da visita per un vino di undici anni; abbastanza consistente nel bicchiere.

La franchezza si percepisce senza neanche
avvicinare il naso al calice, talmente le note di idrocarburo e mela renetta sbuffano
dal bicchiere e quando, seguendo il manuale del buon degustatore, cerchiamo
“fiore, frutto e spezia” o “sentore primario, secondario e terziario”, veniamo
investiti da una raffica di profumi. Credetemi, ne abbiamo trovati davvero
tanti, ma con un po’ di impegno in più il numero sarebbe stato maggiore!!!

Al naso parte con una sferzata di pera kaiser e a
seguire susina gialla, poi vien fuori la crosta di pane a braccetto col
lievito, avvertiamo il sentore di erba cipollina in alternanza con lo
zafferano, ma più di tutto ci colpisce – e ci stupisce – la nota di funghi secchi,
in perfetta coesistenza con una piacevolissima e per nulla stucchevole presenza
di crema pasticciera, come nei migliori sauternes. Sì, avete letto bene,
sauternes, perché la complessità di questo riesling lo avvicina anche al
famoso vino dolce francese.

Non illudetevi però: di “dolcezze” in bocca non ne
troverete, l’Alte Reben è tagliente come un bisturi, il che significa un incredibile
invito alla beva. Lui ci sfida a sorseggiarlo ancora, noi non ce lo facciamo
dire due volte e veniamo premiati, perché scopriamo profumi nuovi, gesso in
primo acchito, passando per una piacevolissima
brezza di anice e lavanda, per giungere infine a un sorprendente sbuffo di polvere da sparo, il tutto sorretto da un sorso pieno,
elegante, citrico e incredibilmente fresco. 

Impeccabile la corrispondenza gusto olfattiva, e interminabile
la persistenza, of course.
La bottiglia è tristemente vuota in men che non si
dica, ma il riesling non ci ha per nulla stancato, fino all’ultima goccia la
tensione gustativa era alta e intatta, così come mineralità, sapidità e
acidità, alle stelle. 
Riordinando le sensazioni della
degustazione emerge subito una considerazione: molti dei profumi riscontrati non si riscontrano nei vini che di solito proviamo, quasi
impossibile trovarli insieme nello stesso calice.
Ma questa è la grandezza dell’Alte Reben di Molitor.
Questa è la meraviglia di una terra unica come la
Mosella.

94/100

Ha partecipato alla degustazione e alle ricerche Gianpaolo Arcobello Varlese.