L’azienda Villa
Dora ha sede a Terzigno, comune vesuviano a circa 250 metri sul livello del mare
e si distingue per la sua eccellente produzione di oli: la conversione al
biologico ha portato i vini dell’azienda a raggiungere notevoli livelli, e il
Vigna del Vulcano rappresenta il vertice della produzione enologica aziendale. 
Oggi ho l’occasione di provare proprio il Vigna del Vulcano 2008,
blend di falanghina e coda di volpe. 
La falanghina flegrea è una delle uve che hanno tradizionalmente fatto la fortuna delle sorti vinicole campane; deve il proprio nome alle “falanghe“, desueto termine che indicava i picchetti di legno che sostengono le vigne allevate a spalliera. Venne citata per la prima volta nel 1666 in un poema in napoletano di Giulio Cesare Cortese; solo nel 2005, grazie alle analisi del DNA si è scoperto che la falanghina flegrea ha una sorella, la falanghina beneventana, ancora oggi comunemente scambiata per la più diffusa parente.
Poco più anziana è la prima citazione della coda di volpe, ad opera di Giovan Battista della Porta già nel 1592. A onor del vero vi è chi attribuisce a Plinio il Vecchio (sic!) una citazione, nel suo monumentale Naturalis Historia. Chi ha avuto in mente di chiamarla così ha associato, con un po’ di fantasia, la forma dei grappoli maturi a quelli della coda della volpe; è uno dei vitigni in rapida ascesa nel già luminoso firmamento campano. Le sue caratteristiche la fanno prediligere da sempre per tagliare i vini ottenuti da uve più acide: difatti, a parità di maturazione, la code di volpe ha una alta percentuale di zuccheri mediamente più alta – per esempio – della falanghina.  
Ascoltiamo, come mi piace dire, Il Vigna del Vulcano.
Il nome è già profetico e lascia intuire
molto su ciò che troveremo nel bicchiere. I produttori hanno forse voluto darci
un indizio, che diventa prova non appena comincia la degustazione; tutto
infatti ruota attorno alla mineralità del vino.

Alla vista , nonostante i cinque anni di invecchiamento, si
presenta di un classico giallo paglierino con lievi riflessi dorati, abbastanza
consistente.

Al naso è un’esplosione sulfurea, le note minerali si
susseguono nello spartito del vino con una cadenza inarrestabile, rimbalzando
dalla pietra focaia alla cenere, dalla pietra pomice al ritorno di zolfo, con
prorompente nota di timo.
In bocca la melodia minerale continua con sensazioni
iniziali di gesso, che lasciano poi educatamente spazio a fiori e frutti, ed
emerge così una base di ananas, ginestra (il fiore giallo del Vesuvio),
camomilla, e uno spunto agrumato di pompelmo.
Sebbene sia
ancora decisamente “vivo” e denoti buone capacità evolutive, ha perso quasi del
tutto le sue spigolosità e ora per me è perfetto, perché
ha raggiunto il suo equilibrio evolutivo (mi si conceda la ripetizione, ma la
trovo una definizione decisamente azzeccata), in cui fiori, frutti, spezie,
durezze e morbidezze convivono in perfetta armonia.
83/100
Ha collaborato Gianpaolo Arcobello Varlese.