Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro Italian Nobile Wines scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato idea, interesso una fascia ristretta di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da 20 mila bottiglie l’anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia. Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d’esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre Natura, non è stato premiato.
E’ un sogno? Permettetemelo”.
Teobaldo
Degustazione: Otin Fiorin 2006, Cappellano
Curiosando in cantina, mi sono accorto di avere una bottiglia di Otin Fiorin Pié Rupestris di Cappellano del 2006: nonostante uno sforzo cerebrale al limite dell’emicrania, non riuscivo a ricordare come avessi ottenuto quella bottiglia. Di certo non la avevo comprata in azienda, non ci sono ancora stato; ero sicuro di non averla comprata on line, e neppure in enoteca. Doveva avermela portata qualcuno… ma chi? Forse non è una reazione da persona perfettamente equilibrata, ma è quel genere di cose che non mi fanno stare sereno finché non ho trovato una risposta. Vi dirò di più: dopo averla bevuta, in compagnia di Gianpaolo, non realizzare chi me l’avesse portata mi rendeva ancora più agitato, ed in seguito capirete perché.
Il nome Cappellano è associato da sempre alle fortune del Barolo chinato, inventato dal fondatore, dottor Giuseppe, farmacista ed appassionato di enologia, già alla fine del 1800. Limitarsi a questa pur eccezionale invenzione per descrivere l’azienda sarebbe non solo riduttivo ma soprattutto sbagliato. L’azienda Cappellano dr. Giuseppe produce infatti dolcetto, barbera, nebiolo (con una sola “b”), e barolo. La bottiglia in mio (misterioso) possesso era una versione “Pié Rupestris”, vale a dire ottenuta da viti di nebbiolo con innesto americano: vi è infatti una seconda versione di Otin Fiorin a “Pié Franco”, da uve nebbiolo a varietà Michet. Entrambi provengono da uno dei Cru per eccellenza delle Langhe, il Gabutti.
Augusto Cappellano gestisce, oggi, l’azienda ereditata dal padre Teobaldo, scomparso nel 2009: “Baldo” riprese in mano l’azienda di famiglia alla fine degli anni ’60, quando complesse vicende ereditarie l’avevano già frammentata e dispersa. Il suo lavoro a difesa del territorio gli permise di ricostruire l’immagine dell’impresa puntando su dimensioni più piccole, ma virando dritto a produzioni di qualità.
La figura di Baldo Cappellano è una di quelle che, insieme ad altri Giganti del mondo enologico, hanno contribuito a fare delle Langhe quello che sono adesso. Questo perché Baldo ha ereditato, fatta sua e poi trasmesso una filosofia imprescindibile, fatta di amore per la natura, che significa assecondarne gli umori e non cercare di correggerli; significa accettare le diversità di territorio e di annata, rendendo tali differenze una risorsa e non un limite. Significa, infine, adoperarsi quanto più possibile in vigna e meno in cantina, in un rapporto dove uomo e natura collaborano e non dove uno cerca di sopraffare l’altra.
L’impegno di Baldo Cappellano è stato sì tecnico ma anche e soprattutto culturale, recapitando a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, il messaggio che la tradizione langarola porta con sé.
Anarchico, indipendente e visionario, Baldo fece apporre queste righe sul retro etichetta del Barolo Otin Fiorin:
“A chi di Guide si interessa:
Non possiamo più sentire la sua voce, ma con queste poche righe è come se ci parlasse di sé: una visione idealista ed unitaria, estremamente affascinante. Un grande Pensiero, come quelli che possono contribuire a cambiare le cose.
Verso in un ballon il Barolo Otin Fiorin: stappato da un’ora circa, ha avuto il tempo di ossigenarsi un po’. Il colore è già granato, scarico, accompagnato da un fine residuo; disegna archetti ampi ed irregolari. Il naso è un soffio di ribes, pot pourri, tamarindo, pepe bianco, liquirizia accenno balsamico; un secondo esame rivela note di cuoio e tabacco. Impatto semplicemente seducente. Osservo Gianpaolo valutarne l’ampiezza olfattiva e sgranare gli occhi e vi assicuro che non è uno che si entusiasma facilmente.
Al gusto è fresco, di una freschezza inattesa; il tannino mi appare ancora un po’ vegetale ed in via di perfetta integrazione, se volessi fare il fenomeno direi che sembra un tannino da vinaccioli ben pasciuti. Corrispondenza gusto-olfattiva completa e soddisfacente, si espande in bocca gradualmente ed inesorabilmente: evoluzione dinamica, balsamica, a mio parere fedelmente varietale. Sapidità apprezzabile e viva. Il finale coniuga essenzialità ed opulenza, attraverso una lunga scia di ritorni fruttati, cacao e sbuffi minerali. Inutile girarci intorno: un gran bel vino, armonico ed avvolgente, in grado di sostenere piatti importanti a base di carne di vitello, anche elaborati. Col senno di poi si sarebbe potuto tenere ancora un po’ a fare polvere: può solo ulteriormente migliorare e regalare sorsi emozionanti.
Non darò alcun voto al vino, rispettando il disegno di Teobaldo Cappellano, che desiderava un mondo solidale, privo di inutile gerarchie.
Terminata la degustazione, restava da capire chi mi avesse fornito la bottiglia di Otin Fiorin, tanto più che avrei voluto vivamente complimentarmi per la scelta. Beh, le indagini non si sono protratte per molto; il benefattore ce l’avevo in “casa”: Gabriele, che acquistò la bottiglia all’ultima edizione della Fiera de La Terra trema, lo scorso novembre.