Curiosando nella mia cantina, ho scovato, avvolta nella carta originale, una bottiglia di Cheval des Andes 2007; l’avevo dimenticata. Sopra c’è l’etichetta che applico quando la bottiglia è condivisa, e riporta la dicitura “J”. 
Ci ritroviamo, dunque, Gianpaolo (“J”) ed io in pausa pranzo, curiosi di provare questa bottiglia che avevamo acquistato diverso tempo fa, e che avevamo quasi dimenticato.
L’Argentina è considerato, nel mondo del vino, un promettente Paese dal potenziale inespresso: la produzione argentina è seconda, nel continente, solo a quella statunitense. Come spesso accade, la ricerca della quantità non favorisce il raggiungimento della qualità; la caratteristica dei vigneti è che sono impiantati ad altitudini superiori ai settecento metri. Questo favorisce l’escursione termica e di conseguenza varietà nei profumi. Il clima assolato, inoltre, dona ai vini intensità e struttura. 
Lo slancio determinante dell’enologia Argentina si verificò nel 1820, dopo la liberazione dal dominio spagnolo, quando arrivarono dall’Europa numerosi migranti, in particolare dall’Italia, Francia e Spagna, che portarono seco sia le varietà di uve tipiche dei loro paesi di origine, sia le conoscenza in campo enologico.
Due calici da degustazione sono pronti per ospitare lo Cheval des Andes, uvaggio bordolese atipico di malbec, cabernet sauvignon e petit verdot, creazione di Pierre Lurton, lo chef de cave di una delle più prestigiose aziende di tutto il Bordeaux: Chateau Cheval Blanc. 
Noto l’etichetta che tra le montagne nasconde l’effige di un cavallo in corsa: minimalista e molto bella.
Iniziamo: limpido rosso rubino tendente al granato, impetrabile e consistente. Posso già immaginare un buon

Molto bella l’etichetta
 pulita, moderna, elegante

contenuto di estratto secco, in questo vino, che disegna archetti fitti molto ben visibili.

Al naso è fruttato, erbaceo, speziato ed etereo: note di more mature, erba, peperone verde, tabacco, spezie dolci, sferzata di anice stellato e toni boisé. Pot-pourri, liquirizia e china. Complesso e fine. L’impatto olfattivo è affascinante, nonostante si percepisca l’impronta alcolica importante: manterrà le promesse, in bocca? 
All’esame gusto-olfattivo si presenta secco, caldo, morbido; abbastanza fresco, abbastanza tannico, sapido; di corpo. 
Abbastanza equilibrato, intenso ed abbastanza persistente.
Fine, pronto e sicuramente armonico. 
Intenso e molto particolare, di certo non omologato, l’impatto alcolico è preponderante, la trama erbacea è rilevante e parzialmente fuori fase, frutta comunque sempre distinta con il tannino protagonista sottotraccia. Tecnicamente molto ben fatto, mix studiato e decisamente riuscito: l’esile trama tannica del malbec è bilanciata da quella del petit verdot, con la benevola mediazione del cabernet sauvignon. Tuttavia mi è parso un prodotto a cui manca un quid per raggiungere l’eccezionalità, una spanna di personalità al gusto. 
Avevo letto recensioni mirabolanti, ma non posso condividerle, probabilmente perché questa bottiglia andava bevuta uno o due anni fa. 
84/100

Di Francesco Cannizzaro.

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