di Gabriele Merlo
Gentilissimo Sig. Roccaldo Acuti,
Le scrivo questa lettera dopo aver avuto la fortuna di visitare l’azienda agricola che un tempo le apparteneva, Vecchie Terre di Montefili a Panzano in Chianti.
Da poco più di un anno quest’azienda chiantigiana, acquistata da Lei, industriale tessile di Prato, nel lontano 1979, non è più sua e sfortunatamente solo ora io, giovane neofita appassionato di vino sono riuscito a venire a Panzano. Una proprietà che Lei ha scoperto appartenere ai monaci della Badia a Passignano, che qui nel medioevo coltivavano la vigna, come dimostra il logo ritrovato negli annali dell’abbazia e che ha voluto apporre sulle bottiglie dei suoi vini.
Forse si chiederà come sono venuto a conoscenza di Lei e dei suoi vini. Accadde lo scorso marzo a una serata di degustazione dei Chianti Classico di Panzano, Armando Castagno (non un relatore qualsiasi) ci parlò della sua storia. In quell’occasione ebbi modo di assaggiare il Chianti Classico 2012, fu letteralmente un colpo di fulmine, così diverso dai Chianti di Panzano: fresco, dal frutto rosso acido, speziato. Tre giorni dopo mi recai con la mia dolce metà in un ristorante della provincia di Milano e tra le famose etichette presenti nella lista dei vini scegliemmo l’ultima bottiglia del Bruno di Rocca 1995. Il vino che porta il suo nome, il “Brunello di Roccaldo” come voleva chiamarlo per dimostrare che nel chiantigiano si possono produrre vini eccezionali anche da vitigni internazionali. Per alcuni era un azzardo troppo grande e quindi dovette troncare il nome.
Portando quel vino prima al naso e poi alla bocca il colpo di fulmine divenne amore, un vino splendido! Io, che non impazzisco per i cabernet dagli spi
ccati toni vegetali, fui stregato da questa bottiglia di un’eleganza intatta e irreprensibile, un trofeo che ora conservo gelosamente sopra la mia credenza. Che dire poi dell’Anfiteatro 2012? il suo sangiovese in purezza proveniente da un unico vigneto di 40 anni, degustato nella serata sui “Supertuscan Chiantigiani”; semplicemente pura poesia, con quelle note di amarena, tabacco biondo e campagna toscana. Lei trova che siano solo coincidenze? Non so, a me piace credere nel destino.
A distanza di un anno ho voluto varcare il cancello di Vecchie Terre di Montefili; ho visto i due cipressi, le porte verso il suo giardino segreto, in quel momento un tenue raggio di sole ha rischiarato una fredda giornata di gennaio. Dopo quell’istante il vento, la grandine e la neve sono giunti da est. Ho conosciuto Barbara che da sei anni sta lavorando a Vecchie Terre di Montefili, è stata gentilissima, mi ha accolto con un sorriso e tanta passione, mi ha parlato di Lei, della sua energia pazzesca, anche negli ultimi anni di vita quando la malattia ormai la consumava, del suo carisma e del suo palato fine, era il primo a cui i cantinieri portavano i vini da assaggiare, del suo grande amore per lo Champagne.
Mentre degustavamo le ultime annate dei suoi vini mi ha raccontato anche del suo bianco, il Vigna Regis, che lei produceva per sua moglie Franca, a lei non piacevano i vini rossi. Preferì tuttavia non utilizzare i tradizionali vitigni toscani trebbiano e malvasia, bensì un inusuale taglio di chardonnay, sauvignon blanc e gewürztraminer, per produrlo, Lei è sempre stato una persona originale. Mi spiace che la sua famiglia non abbia potuto continuare la sua opera; ma d’altronde la vita non è per nulla semplice. Non si deve tuttavia preoccupare, il solco è tracciato e la nuova proprietà ha solo intenzione di migliorare e conservare il più a lungo possibile quello che Lei ha creato, migliorando lo stato di salute delle vecchie vigne, ristrutturando la cantina e chiamando una giovane enologa talentuosa, Serena Gusmeri al posto di Vittorio Fiore. Sa, Signor Acuti, il suo amico enologo non se la sentiva più di lavorare senza di lei.
Mi stavo dimenticando di scriverle cosa penso dei vini che Barbara ha voluto farmi assaggiare. Il Chianti Classico 2013 è fratello della precedente annata, tanta ciliegia, agrumi e spezie dolci al naso, l’assaggio è di pura freschezza, una fine lama agrumata. La Riserva 2012 “vola come una farfalla ma punge come un’ape”, altèra su note di amarena, pompelmo rosa, cannella, rosa canina, in bocca ha carattere e personalità. Come descrivere in poche righe i suoi due “cavalli di razza”, l’Anfiteatro 2012 e il Bruno di Rocca 2011? Non lo farò infatti, lascio a Lei e a chi leggerà questo mio scritto la curiosità di assaggiarli, sono ancora tanto giovani, ma tanto tanto buoni!
Un giorno, in un altro luogo, in un altro tempo e destino c’incontreremo e degustando un calice di questi due vini, destinati a durare in eterno, li descriveremo assieme e poi, perché no, termineremo con una flûte di Champagne. Spero che, ovunque si trovi, possa farLe piacere questo omaggio ad una grande persona.
Addio Roccaldo, Sit tibi terra levis.