Tempo di neve, tempo di montagna, di terme all’aperto e mercatini di Natale.
La gita fuori porta in Val d’Aosta di questo inizio 2017 è andata molto bene e mi ha permesso anche un’ulteriore sosta, manco a dirlo, vinosa.
Una riga in più nella mia “to do list“.
Alle porte di Aosta, infatti, ad appena due minuti dallo svincolo autostradale, Elio Ottin e il suo trattore mi aspettano per una breve visita.
Vini sinceri e una filosofia aziendale volta alla riduzione dell’impatto ambientale e a un’agricoltura sostenibile sono il retaggio che solo un passato rurale volto alla sussistenza, come quello delle Valle d’Aosta degli anni ’60, poteva tramandare.
Elio mi racconta che intorno al 1800 il vigneto valdostano era molto ampio, parla di 3000 – 4000 ettari vitati, e che poi da fine ‘800, la disgrazia della fillossera e i dazi doganali imposti dall’allora Regno d’Italia, hanno fatto sì che la viticultura venisse gradualmente abbandonata.
In pratica sono rimasti coloro i quali coltivavano la vite per uso personale; il famoso vino-alimento tanto caro ai nostri nonni.
Ed ecco spiegato perché delle molte uve autoctone presenti un tempo sono rimaste solo quelle più produttive a discapito della biodiversità.
Un’inversione di tendenza che solo nell’ultimo decennio si sta concretizzando con una rinascita del vigneto regionale, oggi giunto intorno ai 550 ha.
Quattro vini per quattro autoctoni che vale la pena scoprire.
Il Perit Arvine, di origine svizzera e impiantato negli anni ’60-’70 del novecento è un’uva a bacca bianca che si presenta nel millesimo 2015, semplice con un naso molto minerale, roccioso e dritto, e un palato duale acido/sapido ma dotato di buon corpo. I 14,5 gradi alcolici che sviluppa non si sentono mai troppo ma al contrario completano il sorso donando un grande equilibrio complessivo.
Il Pinot nero è un 2014.
La domanda sulla qualità dell’uva è d’obbligo ma a differenza del resto d’Italia però, pare sia stata una buona annata. Strano direte voi? Non tanto.
Dovete sapere che la vallata che corre lungo la Dora Baltea è considerata alla stregua di una zona “arida” e “secca” con i suoi 550 ml di pioggia annua…
Piove pochissimo e questi suoli minerali ricchi scheletro, e quindi drenanti, non hanno neppure problemi di acqua stagnante
In pratica, al netto di qualche problema di drosofila, le piogge più frequenti del 2014 hanno pure evitato le irrigazioni di emergenza.
Questo pinot nero, assemblaggio di più vigneti, viene raccolto intorno a metà settembre e quindi vinificato in tini di legno da 30 hl e affinato in percentuale variabile in tini, botti da 20 hl e barrique, e successivamente assemblato per la bottiglia.
Una scelta voluta ma anche l’unica al momento, in quanto come spiega direttamente Elio, “Non abbiamo ancora un trend per discernere completamente le caratteristiche di ciascun vigneto, ma ci stiamo avvicinando.”
Stesso discorso per l’uso dei legni.
Per i “Cru” sembra che dovremo attendere ancora, ma siamo fiduciosi.
Naso dritto su cuoio e pelli, entra in punta di piedi anche grazie a tannini setosi, fitti al palato e poi si spande a tutta bocca con ritorni profumati di fiori e frutti rossi.
Sincero e di carattere, figlio di un grande uso del legno che aggiunge valore senza snaturare.

Torrette Superieur 2015

80% petit rouge, 10% cornalin e 10% fumin
A metà ottobre, ovvero alla svinatura del pinot nero si riutilizzano gli stessi tini per la vinificazione del Torrette.
È un vino quasi possente sia al naso che al palato, considerando la zona. Pieno e succoso fra ciliegia e liquore, Elio mi racconta che questo forte profumo è tipico del cornalin.
Aiuta tanto, ma solo in taglio in quanto naturalmente instabile in acidità.

Chiudiamo con il Fumin 2014 vendemmiato ad inizio novembre con circa 15 giorni di appassimento della bacca e macerazione sulle bucce per circa un mese, o fino a quando riesce a estrarre, a fine fermentazione alcolica.

Il nome che richiama chiaramente l’affumicato. Vuoi forse per la pruina che si trova sulla bacca quando raggiunge la maturazione, vuoi per questa nota affumicata che si avverte al naso tipo buccia di salame, mai nome fu più azzeccato.
“Ha sempre difficoltà a maturare”, dice Elio, “nonostante tutte le cure e la piena esposizione al sole”. Per il resto è perfetto anche nella 2014 grazie alla sua naturale vigoria e buccia spessa. L’appassimento e l’uso di botti grandi e piccole in percentuale variabile rispetto all’annata, smussano comunque gli angoli di un vino scalpitante e conferisce una certa rotondità generale nonché ottima beva.
Grande intensità di bocca con un tannino che mostra ancora qualche asperità, fra l’asciutto e il rustico, perfetto in abbinamento a carni con osso o una polenta con fontina e carbonada.
Il fil rouge che attraversa questi vini è visibile e anzi in bella mostra. Sono vini dotati di spina dorsale, veri, semplici se vuoi, ma sinceri.
Più passa il tempo e più mi convinco che anche i vini, così come gli animali, somiglino agli uomini di cui sono compagni. Non credete?