Amiche ed amici di Appunti di degustazione se quest’anno avevate il compleanno del nipotino undicenne e vi siete persi la sesta edizione del Mercato FIVI, potete avere due tipi di reazione:
Uno: vi rendete conto di aver perso uno dei must del calendario fieristico vitivinicolo e state consultando il web per trovare uno strizzacervelli che vi aiuti a superare lo choc.
Due: siete degli incoscienti e non nutrite alcun tipo di rimpianto per l’occasione mancata.
Questo articolo è dedicato a coloro che si riconoscono nella opzione due. Cinque sono i motivi per cui l’anno prossimo non dovrete mancare, a costo di saltare la festa del vostro nipotino che avrà a quel punto dodici anni e potrebbe anche non risentire della vostra assenza:
1) Perché ci sono un sacco di produttori veri (quest’anno oltre quattrocento), quelli che il vino lo fanno, quelli che – come piace dire a me – hanno le mani segnate dalle forbici e dalla terra e che il vino lo conoscono, lo spiegano bene come se spiegassero come sono fatti dentro perché il vino è dentro di loro. Per dirla con lo statuto FIVI “Il Vignaiolo FIVI coltiva le sue vigne, imbottiglia il proprio vino, curando personalmente il proprio prodotto. Vende tutto o parte del suo raccolto in bottiglia, sotto la sua responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta”. Meglio di molti disciplinari. Nota a margine: quest’anno il premio Romano Levi per il Vignaiolo dell’anno è stato conferito a Luigi Gregoletto, uno dei quattrocento e passa produttori veri, uno che al discorso di premiazione ha detto parole da incidere nel cielo: “Dalla mia vita e dalle mie esperienze posso dire che la terra va rispettata, va amata, perché la terra è madre e sa ricompensare. Anche oggi che produrre molto è facile e produrre poco è altrettanto facile. Produrre equilibrato nel rispetto della terra, della sua conservazione e della qualità del prodotto, è molto più difficile. Ma sono convinto che questa sia la via da affrontare e sono altrettanto convinto che la terra non delude. La terra ti può fare meno ricco, ma sicuramente più signore“.
2) Perché Piacenza Expo è facile da raggiungere, è a un passo dal casello della A1, è grande e confortevole. Quest’anno non hanno dato la taschina porta calice (sapete io sono uno che a queste cose ci tiene perché di calici in terra ne ho rotti un mucchio) ma non è un buon motivo per non andarci (anche perché la taschina potete portarvela da casa come ho fatto io).
3) Perché con pochi euro (quest’anno 15 scontati a 10 per associati a Ais, Fisar, Onav, Slow Food, Fis, Aies) vi garantite un pomeriggio di serenità, svago e potrete imparare molte cose. Certo deve piacervi il vino ed il suo mondo, se no fate altro.
4) Perché c’è un’atmosfera unica: ci sono gli appassionati, i conoscitori, i soloni (sì anche loro) ma anche tanta gente comune che riempe il carrello man mano che trova vini che gli piacciono. E questo è impagabile.
5) Perché la FIVI è dalla parte dei vignaioli, quelli che non si sono venduti ai giganti del brick o del bottiglione a tre euro, quelli che se le cose vanno bene ci guadagnano qualcosa ma appena fa un po’ di grandine ci rimettono alla grande (io ne conosco personalmente diversi che ci hanno rimesso per diversi anni, e non perché il loro vino non fosse buono).
Bonus track: 6) potete assaggiare vini come questi:
Pigato Metodo Classico 2012 Vis Amoris: quante volte sentite dire in giro che “il pigato è un’uva versatile“? Ma quante volte vi è capitato di bere un metodo classico di pigato in purezza? A Vis Amoris hanno preso una cotta per questo vitigno: sei diverse declinazioni di cui, questa, spumantizzata. Ventiquattro mesi sui lieviti, bollicina lieve e profumi insoliti. Tanto vegetale, prima ancora del lievito: erba falciata, timo e mare. Grande freschezza – certo – e bella verticalità. È proprio vero: col pigato ci puoi davvero fare tante cose, anche le bollicine. Jolly.
Gruajo, Firmino Miotti vignaiolo a Breganze, come si diceva una volta. E Firmino è certo uomo d’altri tempi, se trova la forza per vinificare ancora un vitigno come la gruaia: potrebbe espiantarla, e metterci qualcos’altro. Ma no, non lo fa, anzi. La gruaia ha una caratteristica maledetta: a maturazione raggiunta il grappolo presenta chicchi completamente maturi ed altri completamente verdi. Ovviamente la bravura del vignaiolo sta nel selezionare i soli acini maturi. Il vino ha una personalità tutta sua: è rubino ma sprizza ancora gioia porpora. Profuma di frutta fresca ma anche di terra e funghi, sandalo e violetta. In bocca è gioviale, sicuramente ancora troppo esuberante ed il tannino è verde ma ha un bell’allungo e lascia un bel sapore. Sorpresa.
Terre d’ombra, I Carpini. Lo sapete che ad Appunti di degustazione la barbera è argomento ricorrente. Ci abbiamo anche fatto un articolo specifico, tempo fa (lo potete leggere a questo link). Di solito non amiamo i blend, siamo sospettosi, puristi, intransigenti. Eppure… Terre d’ombra, nel quale la barbera sposa l’albarossa, ha una musica dentro, un motivetto di profumi e pulizia, succo e croccantezza, sveltezza e corpo che ti fa sorridere. È un compagnone, questo vino: uno di quelli che ti fa sorridere ma che bisogna stare ad ascoltare, perché ha molto da dire. Chiacchierone.
Borro delle Streghe 2012. Castello di Ripa d’Orcia. Amici del syrah segnatevi questo vino. Non andate subito a pensare, però, alle tipicità del Rodano giacché quello non sono facili da riproporre al calice. Ma se vi basta – si fa per dire – un syrah di interpretazione italico-internazionale questo vino vi piacerà: per lucentezza, corpo, stile e soprattutto gradevolezza. A Castiglione d’Orcia viene bene altro, potreste dirmi. È vero, ma questo syrah mi è piaciuto, è un vino di manico, di terra e di sapienza. Convincente.