L’influenza che la Francia esercita sull’enologia di tutto il pianeta non parte solo dalla Borgogna e da Bordeaux. L’eccellenza francese si esprime anche in altre zone, ben associate a determinati vitigni, al punto da identificarsi con essi.
È il caso della Valle del Rodano, qui analizzata nel suo segmento settentrionale, uno stretto canalone che parte da Vienne e termina a Valence, la patria indiscussa della Syrah.

È una zona dal clima ormai quasi continentale, dove l’influenza del Mediterraneo stenta ad arrivare e l’esposizione dei versanti fa la differenza.

È disposta in modo quasi rettilineo da nord a sud seguendo il corso del fiume Rodano, il quale costeggia nel suo lato destro le prime propaggini del Massiccio Centrale che spesso si presentano così impervie da dare vita ad episodi di viticulture heroique tra i più spettacolari al mondo.
Qui, la Syrah regna incontrastata. Vitigno considerato autoctono nonostante i tentativi, tanto numerosi quanto vani, di dimostrarne la provenienza da più esotiche sponde.
Giova della continentalità del clima, delle forti pendenze e dei terreni per lo più granitici e scistosi.
Ma non meno fondamentale è il lavoro dell’uomo che ha saputo trarre da quelli che potrebbero sembrare impedimenti invalicabili, dei punti di forza che rendono unico il prodotto finale.
Mi riferisco alle difficoltà dovute alle eccezionali pendenze su cui è coltivata la vite, l’impossibilità di avvalersi dell’aiuto delle macchine, il lavoro supplementare dato dalla continua, faticosa, manutenzione dei muri e delle terre, continuamente dilavate dagli agenti atmosferici spesso severi.
Accanto alla Syrah trovano spazio alcuni bianchi; su tutti il Viognier, e nella zona a sud di Saint Joseph,  Marsanne e Roussanne. Questi due ultimi utilizzati prevalentemente assemblati con la Syrah, mentre il Viognier, coltivato più a nord, regala splendidi vini in purezza.
La degustazione si è svolta in due serate di approfondimento, organizzate dall’Ais Milano e condotta da Samuel Cogliati.
Durante i due incontri, sviluppati in un ideale percorso da sud a nord, sono stati degustati undici vini, di cui solo un bianco, un bellissimo Viognier, per cui si è trattata di un’autentica esplorazione nel mondo della Syrah.
Eccone alcuni:

1- Crozes Hermitage

    Dard & Ribo 2011

    il più “giovanile” nei sentori, qualche accenno di vinosità lascia esprimere poi maquis e sensazioni animali, scia mentolata, speziatura di pepe nero e qualche indizio di etere.
In bocca emerge una grande sapidità. E’ comunque una Syrah molto bevibile, non impegnativa.
Finale molto lungo.
2- Saint-Joseph      
    Dard & Ribo 2011
Stesso produttore, stessa annata ma uve da altre vigne per cui… vino completamente diverso!
Qui la frutta prende il posto degli aromi eterei, il vino è più carnoso, polposo, materico sebbene al naso si riveli con meno esuberanza.
In bocca spicca il selvatico, anche qui la sapidità è ben evidente e la lunghezza ci fa capire che è una dote comune di questo vitigno.
3- Hermitage  
   Yann Chave 2012
Giovane, con naso ancora poco espressivo, ma con i minuti inizia ad evolvere e rilasciare interessanti sentori floreali, di violetta, melissa, quindi erbe officinali ed essenze mediterranee.
In bocca è succoso, elegante ed espressivo con un tannino deciso ma fine. Tutte le componenti indicano che il meglio deve ancora venire, con una buona conservazione in cantina.
4- Hermitage
  Jean-Louis Chave 2011
Il naso è molto promettente nonostante si esprima lentamente, rilascia una delicata nota fumè, poi talco, fiori secchi, funghi.
Al palato diventa più evidente che è ancora giovane; ritroviamo tutte le promesse avute dall’olfatto ma non ancora in modo ordinato. E’ più crudo, più animale di quanto non fosse al naso.
5- Hermitage
   M. Chapoutier     “Les Greffieux” 2007
Deciso salto evolutivo. Tutte le note terziarie sono qui ben ordinate: pepe, tè nero, pomodoro essiccato, ma anche speck.
E’ il più maturo della prima serata ma anche immediato. Lascia intuire un’evoluzione verso smalti ed altri eterei.
Raffinato, delicatamente amarognolo, con lunga scia balsamica a chiudere.
6- Viognier 2006
   Château-Grillet

L’unico bianco in due serate. C’era da aspettarsi molto e tanto è arrivato: al naso è connotato da erbe officinali, nocciola verde e tostature da grande vino maturo, in bocca sfoggia grandi morbidezze, da glicerina in particolare, bilanciate da una buona mineralità quasi di idrocarburo.


È morbido, ceroso, l’ossigeno che entra nel bicchiere gli giova, a fine serata è decisamente più esuberante di quanto fosse all’inizio.
7- Cote-Rotie
  M. Champoutier  “La Mordorèe” 2006
Al naso è terra umida, humus, polpa, la carnosità non manca, non è una dote unicamente giovanile.
In bocca mostra una compattezza che sembra verticalità, snello, sottile, tannino ancora vibrante ma ben composto. Regala un finale davvero molto lungo ma sempre composto, gli aromi restano ordinati anche nella loro scia conclusiva.
8- Cote-Rotie
   J. Vidal-Fleury    “brune et blonde” 2001
Ha fatto gridare al “tappo” buona parte del pubblico. Ma la pazienza e una necessaria ossigenazione nel bicchiere hanno reso giustizia al prodotto: apparentemente scarico al naso, ha lentamente acquistato vigore pur restando molto compito.

In bocca invece, sin dal primo ingresso, fuga ogni dubbio sulla presunta presenza di muffe. Il vino possiede ancora un tannino energico, che accompagna le intriganti note di caffè, macchia mediterranea, sangue, resina. Un finale lunghissimo, estasiante, chiude le due serate in grande stile.
Si tratta di vini unici, distanti dalle Syrah facili che troviamo facilmente qua e là.
In quanto tali, necessitano di un esborso significativo. Forse l’unica nota stonata.