Con prontezza di riflessi degna di un ghepardo, sono riuscito a conquistarmi un posto per una delle degustazioni più interessanti di questo periodo in ambito AIS Lombardia.
La delegazione di Como, infatti, si è accaparrata la collaborazione di Armando Castagno, uno dei migliori se non il miglior conoscitore e relatore della Borgogna nella sua accezione tout court. Armando non si limita ad esposizioni classiche ma ama spaziare su ogni aspetto dell’argomento: storia, arte e cultura nel corso delle relazioni precedono i dettagli più strettamente enologici come terroir, vinificazioni, cantine e produttori di vino; il suo campionario di aneddoti è sterminato e tra poco ne riproporrò qualcuno, senza alcuna pretesa di essere esaustivo.  


L’evento si è tenuto al Grand Hotel di Como, in una sala ampia, accogliente, luminosa, con un’ottima acustica. La degustazione, a cui hanno partecipato poco meno di cento persone, si proponeva di trattare sì la Borgogna, ma non quella nota a tutti bensì quella delle piccole denominazioni, quella che si potrebbe definire La piccola, grande Borgogna

In una prima introduzione sull’origine del territorio abbiamo appreso che la Borgogna è una delle prime terre emerse, tra quelle che attualmente ospitano vigne, alla fine del periodo giurassico. E’ noto tra gli appassionati che in precedenza le terre di Borgogna fossero sommerse dal mare, motivo per il quale non è raro imbattersi, specie nello Chablis, in fossili ancora integri di Exogyra Virgula
La composizione del terreno è variegata e può accadere che vigne poco distanti da vigneti classificati Premier Cru non abbiano la medesima attestazione.
L’importanza del vino in Borgogna è riconosciuta da molto tempo, ce lo dice la storia; basti pensare ad un aneddoto, riportato da Armando, per il quale un generale dell’esercito napoleonico ordinò alle proprie truppe di rendere onore alle vigne di Clos de Vougeot. Già molto tempo prima, tuttavia, Filippo l’Ardito nel 1395 emanò un bando con il quale per decreto ordinò l’espianto di gamay da svariati territori ordinando l’impianto del più pregiato pinot nero. 
Armando ha poi accennato al clima del territorio. A tal proposito ha parlato dell’importanza del vento che spira nella domenica delle Palme, le vent des Rameaux, che per tradizione si dice che sarà quello prevalente nella stagione; in alcuni casi ha salvato in parte annate che – a causa delle precipitazioni estive – avrebbero dovuto essere disastrose, come quella del 2008.
Successivamente si è parlato di classificazione, che dai nostri cugini transalpini è molto rigorosa. Armando ci racconta un aneddoto molto significativo: nel 1970 nel Comune di Puligny Montrachet, a un piccolo pezzo di vigneto del premier cru “Les Chalumaux”, il proprietario aveva aggiunto uno strato di terra di poche decine di centimetri proveniente da un Comune adiacente, allo scopo di “pareggiare” la terra perduta: gli ispettori si accorsero della modifica e tolsero a quel tratto di vigna la denominazione “premier cru” declassandolo a “village”. 
Qualche cenno sulla vinificazione: in Borgogna alcune aziende vinificano a grappolo intero, senza diraspare. Per tutte, comunque, l’approccio prevede molto lavoro in vigna e pochissimo in cantina ed aggiungere o togliere qualcosa dal vino non è nella loro cultura. Armando racconta di un enologo che gli disse “Quando l’uva è nella vasca di fermentazione il mio lavoro è terminato“. 
Le cantine della Borgogna sono gelide, condizione che incide notevolmente sulla qualità del vino: qui infatti la fermentazione malolattica parte in ritardo e il vino evolve lentamente. I vignerons inoltre non utilizzano lieviti selezionati: il 95% dei lieviti utilizzati sono “di cantina” – intrappolati con la muffa “penicillium” – mentre il restante 5% proviene dalla vigna, imprigionato nella pruina dell’acino.

E’ altrettanto interessante notare come la cultura borgognona assegni al legno il mero ruolo di contenitore, non ricercando a tutti i costi i sentori divenuti fondamentali nel cosiddetto “gusto internazionale”. E pensare che qualcuno aggiunge “chips” al vino, ribaltando completamente l’assunto “vino nel legno” e trasformandolo in “legno nel vino”…
Veniamo alle degustazioni dei protagonisti: otto vini di vigna, otto diverse espressioni di un territorio senza paragoni:
1. Pernard Vergelesses 2011 Domaine Rollin: paglierino luminoso, grande impatto olfattivo minerale, camomilla, pompelmo, espressione dell’ annata 2011 di medio peso, molto pulito, sapido, quasi iodato, finale medio lungo. 

2. St. Aubin 1er Cru Bas de Vermarain – à l’est 2012 Domaine Sylvain Langoureau: Olfattivamente propone naso rotondo di pera, gusto croccante ed elegante al tempo stesso. 

3. Bourgogne Le Chapitre Vieilles Vignes 2011 Domaine Jean Fournier: è una delle cinque eccezioni che a fianco delle denominazione Bourgogne appone il nome della vigna. Appena trenta are, piante di cinquantacinque anni; rubino riflessi porpora, nota di geranio, salino e pepe bianco, lavanda, armonico, fresco, assolutamente lineare. 

4. Cote de Nuits Villages 2012 Domaine David Clark: una vera chicca. Rosso rubino, cui segue naso integro di pepe nero, rosa,  sentore di piccoli frutti rossi, curcuma, gusto leggiadro, sabbioso, non molto lungo.
5. Ladoix le Clou 2011 Domaine Prieuré Roch: luminoso rosso rubino, olfatto inintelligibile non molto intenso. Dopo numerose rotazioni del calice vira verso toni di caramella gommosa, radice, incenso, smalto, tannino vegetale; in bocca è estremamente variegato. Per la serie non stanca mai.

6. Hautes Cotes de Beaune Orchis Mascula 2011 Domaine Naudin – Ferrand: Rubino penetrabile, naso ferroso, amaro, grasso, denso, ematico e minerale, croccante nota fruttata, molto fresco, bocca armonica caratterizzata dal finale medio lungo.  


7. Savigny-Les Beaune 1er Cru Les Lavieres 2011 Domaine Chandon de Briailles: affascinante naso ampio e dinamico, fruttato e speziato, spiritato di ribes, roccia, inchiostro, rabarbaro; al gusto conferma il fascino del vino in movimento e di gran classe, tannino vellutato e freschezza in equilibrio con le morbidezze. Il finale è molto lungo perfettamente lanciato da ritorni minerali. 

8. Santenay 1er Cru Grand Clos Rousseau 2011 – Domaine Claude Noveau: rubino splendente, gli aromi riconducono al ribes, leggero fumè, in bocca ha struttura sorprendente per un vino di questa tipologia, fine ed elegante al tempo stesso.  

A degustazione terminata Armando Castagno riporta una frase di Auber de Villaine, vigneron di Romanée Conti: la frase è lunga e molto significativa e racchiude tutto il fascino a volte misterioso del mondo del vino. La sintetizzo così: la bellezza del vino è che nonostante l’uomo si sforzi di conoscere tutti i dettagli del terroir e di controllare tutto ciò che concerne il ciclo produttivo, ci sono talmente tante variabili che è impossibile dare una spiegazione ai motivi che rendono un vino unico.
Aggiungo io: per fortuna. Sono vini, quelli di Borgogna, che si fanno col cuore ed una volta bevuti entrano nell’anima.

Un sentito ringraziamento a Simona Vollaro, che ha collaborato alla stesura di questo post.