Il pretesto di una passeggiata domenicale fuori porta è sempre il motore giusto per organizzare una breve visita in cantina, specialmente quando sei in costante ricerca.
Un paio di telefonate il giorno prima per definire il chi e il dove e alle 10.00 siamo già in macchina.
Io:
“A circa un’ora di strada da Milano esiste questo territorio, l’Oltrepò… bei paesaggi, colline ripide, piccoli borghi. Sì, è un territorio controverso, è vero, e certamente non tutti i protagonisti remano nella stessa direzione, ma pian piano lo scenario sta cambiando. Ci stanno provando a riemergere dopo anni disastri.
“A circa un’ora di strada da Milano esiste questo territorio, l’Oltrepò… bei paesaggi, colline ripide, piccoli borghi. Sì, è un territorio controverso, è vero, e certamente non tutti i protagonisti remano nella stessa direzione, ma pian piano lo scenario sta cambiando. Ci stanno provando a riemergere dopo anni disastri.
Ci sono vini interessanti sai? Conosci ad esempio il Butta…”
Amico pseudoesperto di vino/accademicamente formato/eno-snob:
“Oltrepò? Sei pazzo? Mai nella vita! La bonarda te la bevi te!”
“Oltrepò? Sei pazzo? Mai nella vita! La bonarda te la bevi te!”
Ecco una conversazione come tante che mi è capitato di affrontare. Ma non oggi per fortuna.
E sì perché se da un lato è vero che i supermercati sono pieni di bottiglie non meglio identificate di Oltrepò pavese Doc da 2 euro e 99 (se prezzo pieno), è altrettanto vero che accomunare prodotti industriali e vini di territorio è non solo sbagliato ma soprattutto deprimente, oltre che ingiusto.
Quindi la prossima volta che vi parlano di un vino buono in Oltrepò non dico di sorridere a trentasei denti e acquistare in blocco cantina e cantiniere ma almeno di avere una mente aperta, priva di pregiudizi.
L’Oltrepò è soprattutto fatto di piccoli numeri, di contadini, di famiglie dedite alla cura della vite e del vino.
Andrea Picchioni, il “Picchio” per gli amici, non ha ereditato un’azienda ma non è nemmeno l’ultimo arrivato nella scena enologica italiana; ha le mani di chi la terra la coltiva e l’accudisce e lo spirito di chi, più esperto di lui (parla di Lino Maga), ha sulle spalle anta anni di esperienza.
Ha iniziato così nel ’88, con uno slancio in più che arriva qualche anno dopo quando incontra l’amico agronomo Beppe Zatti, ex bancario che “inizia a calpestare la terra”. La coppia è così formata da innovazione e tradizione.
È bene fare una breve premessa.
La storia dell’Oltrepò, così come un po’ quella italiana del ‘900, vede un abbandono progressivo delle campagne a favore delle città, o di terreni più facili da coltivare, in pianura, ma certamente meno vocati rispetto delle ripide colline oltrepadane .
Vi dice niente la parola vocazionalità? Andrea parla chiaro: “si è coltivata la vite in qualsiasi terreno buttando secoli di storia, abbandonando le vigne storiche a favore di terreni meno vocati.
Tutta la zona fra Stradella, Broni e Canneto è molto abbandonata.
Compra vicino ad una strada o un terreno che sia edificabile. Come investimento”, mi dicevano.
Ci racconta che questi primi terreni acquistati, lontani dalle grandi strade, ripidi, difficili da coltivare, erano ormai diventati quasi boschi e, abbandonati com’erano da 20-30 anni, è stato necessario re-impiantare tutto.
L’esposizione a sud-sud ovest e la composizione di sabbia e ghiaia dà vita a terreni poveri, drenanti, dove la vite soffre perché produce poco e le radici devono andare necessariamente in fondo per trovare qualche nutriente.
Quindi se a questo terroir vocato aggiungiamo il rispetto di una viticoltura integrale, integralista direbbe qualcuno, che cerca di seguire le fasi lunari per la potatura (per tradizione il legno viene attaccato meno da alcuni parassiti, dice), una vinificazione del vigneto (che comprende filari di diverse varietà di vite) e non della singola varietà , l’uso di lieviti indigeni, non abbiamo dubbi che gli ingredienti per un vino di qualità siano tutti a disposizione, pronti per una ricetta che, in casi come questi, prevede tempi più lunghi del normale; “diciamo almeno 8-10 anni.”
La carrellata dei vini si è concentrata sui rossi da uve autoctone, affiancati da un eccellente salame di produzione locale.
La bonarda Luogo dei Ronchi 2015 non ancora in commercio, è croccante, briosa e vinosa e dà l’idea del mosto fresco. Essendo giovanissima lega ancora.
Il Buttafuoco base, il Cerasa 2014 da croatina, barbera e vespolina nasce nella peggiore delle annate ma Andrea lo considera un vino fortunato perché, non avendo fatto la riserva nel 2014, tutte le migliori uve dell’annata sono confluite proprio in questo vino.
Il risultato? È un vino fatto molto bene. Molto.
Un rosso rubino violaceo dai tratti giovani ma eleganti e dal palato sì fresco ma anche delicato. Perfetto per il pasto, non troppo alcolico, non troppo orizzontale che fa della mora e di una piacevole nota floreale alla rosa i suoi caratteri distintivi. Scivola giù bene fra una fetta di salame e l’altra.
Un vino riserva che si sente importante e per molti versi lo è.
Il naso è intenso su frutta rossa matura quasi in confettura, prugna su tutti; poi spezie dolci di cannella e ginepro prendono la scena insieme a un cuoio che va e viene a seconda del momento. Equilibrato per apporto alcolico, acidità e tannini che si fondono, conferendo il giusto piglio ad un bel sorso che invita e non stanca.
Volevo farvi notare che un buon vino non puzza a bicchiere vuoto.
Questo nello specifico lascia un fantastico aroma di tabacco amaro ed sottobosco.
Chiudiamo con il principe della Casa, il Buttafuoco Bricco Riva Bianca 2011. Tutti vini giovani e questo in particolare con moltissimi anni ancora davanti.
Bellissimo al colore di un rosso rubino dark che richiama il naso di marasca e cioccolato amaro.
Bocca rotonda e morbida grazie ad un uso della barrique di rovere adeguato. È un vino di 5 anni ma sta muovendo i primi passi oggi con un potenziale da primo della classe soprattutto per la capacità di sorprendere al palato.
Sembra quasi leggero, scevro dei 14 gradi riportati in etichetta che va giù immediato. Lo apprezzi oggi, bambino, domani puoi solo immaginarlo.
Dite quello che volete ma il concetto di Oltrepò = qualità scadente è solo una questione di ignoranza nel senso letterale del termine, ovvero la non conoscenza.
Ma basta pensare solo ad alcuni nomi come Monsupello, Fiamberti, Fausto Andi, Lino Maga, solo per citarne alcuni…
D’altronde come dice Lino, “il vino è una cosa seria… mica birra…”