L’associazione Go Wine è da sempre vicina e attenta a ricercare e porre all’attenzione degli enoappassionati i vini di territorio, da vitigni autoctoni quasi sempre legati a produttori fortemente radicati alla propria terra e alle sue tradizioni.

Impossibile non appoggiare questa scelta, considerando lo sterminato patrimonio ampelografico dello stivale: non si finiscono mai di scoprire nuove varietà e non è sempre facile reperirne la bottiglia.

Quale migliore occasione dunque per risolvere tale problema? Le rodate e accoglienti sale dell’Hotel Michelangelo di Milano hanno ospitato lo scorso 21 gennaio la serata Autoctono si nasce, organizzata per l’appunto da Go Wine, in riferimento all’omonimo libro pubblicato da Go Wine Editore.

L’evento è stato davvero piacevole e la presenza dei produttori non ha fatto altro che rendere la serata ancora più informale e il messaggio di autoctonìa ancora più diretto. L’unico appunto che mi sento di muovere riguarda la sproporzione tra le aziende a nord del Po, oltre il 60% di quelle presenti, rispetto alle altre del resto d’Italia, dato non corrispondente alla distribuzione ampelografica dello Stivale.

Non che ciò mi sia dispiaciuto, sia ben chiaro, il livello qualitativo era davvero notevole, sia come risultato nel calice che a monte, nella cura in vigna e in cantina.

Esempio lampante mi è stato dato da Tenuta di Tavignano, azienda del maceratese che ci sa davvero fare: la  sequenza dei suoi quattro Verdicchio è di una perfezione stilistica e didattica da manuale. Spesso in queste verticali aziendali si sale sulle montagne russe con sproporzioni gustative terribili.
Tavignano è un equilibrato crescendo di piacere che appaga e non stanca. Un Bel Bere con la doppia B maiuscola (e il loro Rosso Piceno non è da meno).

 Arrivano invece dal Friuli i supervini di Moschioni, tutti rossi e tutti imponenti. Nell’imbarazzo della scelta il cuore ha abbracciato il Pignolo 2009, figlio di una vendemmia ritardata e rese bassissime, vagabondo di barriques, botti grandi, acciaio e vetro per sei anni.
Il consiglio più spassionato che mi sento di dare è di farvi dare una mazzata in testa dopo averlo acquistato e dimenticarvi di lui, perché è un bimbo che ha ancora una vita da vivere: lo conferma il colore violaceo, splendidamente luminoso.
Il frutto, succoso e in bella evidenza, ci regala una polpa di ciliegia matura e un finale di prugna secca. Tannino ancora vivo ma sapientemente addomesticato. La fascia di prezzo è medio-alta ma è in linea con la qualità del prodotto.

La parola Gruajo vi dice qualcosa? No, non è l’abbreviazione di grosso guaio né tanto meno qualcosa di spagnoleggiante e vale la pena spendere due righe in più: il gruajo è semplicemente l’ennesimo capolavoro di Firmino Miotti, produttore sempre attento a preservare gli antichi vitigni del proprio territorio, le Breganze.
Non molto tempo fa recensimmo qui il suo intrigante Pedevendo e quest’altra chicca non è meno sorprendente Un rosso i cui grappoli, giunti a maturazione, presentano acini maturi e altri acerbi, verdi. Un’uva bollata perciò come maledetta dai contadini dell’epoca che ne abbandonarono la coltivazione. Tutti tranne il padre di Firmino che ne preservò tre viti. Oggi Firmino ci regala un rosso talmente raro che non rientra neanche nel disciplinare dei VDT ma è semplicemente Vino Rosso.
Ha un naso vegetale di peperone, poi  marasca e mirtillo. Il finale amarognolo aggiunge ulteriore carattere a un vino già di suo molto particolare.

Il principe dei rossi calabresi è innegabilmente il Gaglioppo, tra le uve col maggior potenziale di invecchiamento al mondo.

A noi di Appunti di Degustazione ovviamente piace parlare dei “fratelli minori”, dei vini spesso lontani dalla ribalta ed ecco spuntare tra i banchi d’assaggio il meno blasonato ma ugualmente espressivo Magliocco, da un cui cru nasce il Basileus 2010 di Poderi Marini, un rosso dal naso speziato e pulito.

Al palato è altrettanto pulito e netta è la percezione di confettura e ribes, la nota erbacea e infine inchiostro. Bocca di gran nerbo. Il tannino, addomesticato e per nulla aggressivo, duetta alla perfezione con la spiccata acidità.

Chiusura da standing ovation per l’Antica Cascina dei Conti di Roero con il suo Spumante Brut San Giovanni millesimato 2010, 80% Arneis e 20% nebbiolo, 50 mesi sui lieviti.

Questa sorprendente bollicina piemontese ci è stata spiegata in maniera egregiamente chiara e didattica dal signor Luigi, titolare dell’azienda.

I terreni calcarei contribuiscono alla sapidità dei vini, quelli argillosi donano invece struttura. L’arneis è vitigno noto per la sua vena acida e le viti aziendali di arneis crescono su terreni calcarei tipici della rive gauche del Tanaro.

Ecco perché la giusta acidità di questo spumante e la sua vivace sapidità hanno trovato nel nebbiolo quella completezza di profumi e quella struttura che rendono questo spumante completo. I sentori spaziano dalla crosta di pane alla pesca bianca, dalla mela Smith al miele di acacia.