Samuel Cogliati è molto conosciuto negli ambienti enologici grazie alle sue pubblicazioni di testi a tema vinoso e per gli approfondimenti anche pratici sui vini dei cugini francesi di cui non se ne sa mai abbastanza.
#personedivino è quindi l’hashtag che calza a pennello perché, lo ricordiamo, il vino è anche cultura.
Conosciamo meglio Samuel nella nostra breve intervista.
Relatore Ais, giornalista, scrittore ed editore? Quest’ultimo ruolo arriva per avere più libertà e indipendenza intellettuale?
Fare l’editore è il mio lavoro principale. Per essere precisi non sono relatore AIS (guarda il big boss AIS Lombardia Hosam Eldin, casualmente seduto accanto a me, che fa spallucce)… Cronologicamente ho iniziato come giornalista anzi scrittore di inediti e qualche poesia verso la fine dei ’90. Poi ho iniziato a fare il giornalista e solo successivamente è arrivato il vino.
Il mio fine però era raggiungere un’autonomia e dar vita ad un progetto cosi come lo intendevo io, indipendente.
Che poi liberi liberi non si è mai perché devi fare sempre conto con i clienti ecc…
Per me tutto ciò ha significato la soluzione pratica e operativa per perseguire nella vita la mia ambizione di campare di scrittura e affini.
Etica nella comunicazione. Tante volte lei ha parlato del rispetto che si deve al produttore, così come della responsabilità nei confronti del consumatore. Come si fa a coniugare critica, responsabilità, gusto personale?
Si fa fatica. Ci sono tante strade da percorrere.
Si può scegliere di dire e scrivere quello che si vuole oppure omettere in toto l’oggetto di una critica o indagine se si ritiene che si possa nuocere. Sono strade altrettanto valide.
Quella che non porta sicuramente a nulla è l’essere troppo diplomatici. Fai un torto a te stesso, all’azienda e ai lettori. La critica invece se fondata e pertinente è quella che aiuta a crescere.
Vorrebbe darci il suo “decalogo” quando si accosta a un vino e deve giudicarlo per una rivista, una guida, un pubblico?
Riguardo l’aspetto tecnico per me una recensione ha senso se fatta senza limiti, avendo più bottiglie a disposizione e degustare in più occasioni e viceversa. Se alla cieca ancora meglio, ma mi rendo conto che non sempre è possibile avere tutte queste condizioni.
Io non mi autocensuro se non ho tutte le condizioni per carità. L’importante è citarle queste condizioni di degustazione, in modo da dare al lettore l’idea giusta.
Quando deve giudicare un vino negativamente come procede?
Dipende da che vino è e che cosa voglio fare degli appunti, se fa parte di una degustazione più ampia o meno… Tanti aspetti. Se è un vino dalle alte aspettative e mi ha deluso lo dico apertamente.
Al contrario se il vino viene da un piccolo produttore che sta cercando la sua strada che fa poche bottiglie eccetera, no; preferisco omettere. Prendersela con quel vino non ha molto senso. È come sparare addosso alla gente. Non ha senso.
Doppia cittadinanza, quindi enologicamente parlando, super-partes. Cosa hanno italiani e francesi da imparare reciprocamente gli uni dagli altri? Quali, a suo avviso, le differenze che andrebbero mantenute perché caratterizzanti e quali invece superate perché espressione solo di una consuetudine ma potenzialmente dannose per un’evoluzione positiva della viticoltura?
Tendo a difendere l’Italia in Francia e la Francia in Italia.
Detto questo ci vorrebbe una settimana per rispondere… Una cosa che i francesi potrebbero o dovrebbero imparare dagli italiani è dar maggior risalto e considerazione a più vitigni. A suo tempo in Francia è stata fatta tabula rasa. Oggi i francesi avrebbero gli strumenti per recuperare i vitigni locali e ampliare a l’offerta a dismisura.
In Italia d’altro canto potrebbero imparare a vendere molto meglio la propria immagine e a non copiare i francesi. I produttori italiani hanno copiato fin troppo: dalle tecniche di vinificazione ai vitigni. Secondo me i risultati sono stati generalmente mediocri se non caricaturali.
Bisogna cercare di seguire la propria strada. Ora qualcosa sta cambiando rispetto a uno o due decenni fa.
Quali sono le regioni italiane e francesi che – a suo parere – hanno ancora molto da far conoscere e che cresceranno nel prossimo futuro? Qualche vino da segnalare?
Una domanda alla quale faccio fatica rispondere. Penso che tutte o quasi le regioni abbia ampio potenziale inespresso.
Quelle con un margine di crescita qualitativa altissima in Italia sono Sardegna e Puglia. Altre due, per motivi diversi sono Alto Adige e Friuli che per quello che ho assaggiato esprimono davvero poco rispetto al potenziale. Un’altra, anche per simpatia è la Val d’Aosta.
In Francia è buffo ma mi verrebbe da dire tutte! Sicuramente la Champagne, la Borgogna, il Rodano settentrionale e potrebbe dire qualcosa la Savoia di cui si conosce pochissimo e perfino il Sud Ovest! Hanno fatto grossissimi passi avanti Loira Alsazia e Linguadoca. La Provenza ,regione principe dei rosati, poi esprime solo lo 0,1% oggi…
Ah si, una italiana con un potenziale immenso è il Piemonte settentrionale. Almeno equivalente alle Langhe!
Tra i vini francesi e quelli italiani, può raccontarci – uno per parte – i suoi preferiti e perché?
Una denominazione che amo molto è la zona del muscadet. In Italia per fare un nome a caso, una zona e una tipologia che credo abbia un potenziale incredibile è il rosso dell’Oltrepò.
Dobbiamo tenercelo stretto.
Champagne: lei ne è un profondo conoscitore e ha scritto anche un volume, ahimè esaurito. Tre argomenti che vorrei proporle. Champagne vs. crémant e metodo classico italiano: la differenza sta solo in un miglior marketing (come tanti – anche grandi sommelier ed esperti – sostengono)?
Credo che, non ovunque o sempre, ma nelle migliori situazioni in champagne, ci sia la possibilità di fare metodo classico migliori rispetto a quelli italiani. C’è un potenziale geografico mediamente superiore. Che poi metodo classico italiano per me non vuol dir niente; comprende tutto e nulla dalle peggiori espressioni ad espressioni migliori della champagne stessa. Medesima considerazione per i cremant…
Champagne e invecchiamento: cosa perde e cosa acquista a suo parere?
Perde? Nulla! Acquista fascino, complessità, vinosità imprevedibilità, abbinabilità… Tutto insomma.
Flûte, coppa, calice da degustazione: lei cosa ne pensa?
Ragionamento ancora aperto per me. Dei tre il bicchiere quello che elimino è la flute; ha solo una funzione estetica. Il calice standard va bene per tutto quindi anche per lo champagne.
La coppa ha un fascino straordinario e penso che l’abbiamo liquidata un po’ troppo rapidamente rispetto all’adeguatezza tecnica. Fa perdere un po’ i profumi è vero ma nel vino non esistono solo i profumi. Se non devo recensire mi concedo la coppa.
È ancora un pensiero ancora in fieri però…
Vini naturali, biodinamici, orange wine… C’è ancora un po’ di confusione, tanto che lei ha pubblicato una libro-guida sull’argomento “Vini naturali – Che cosa sono?”.
Il consumatore è pronto? Nel corso dei secoli il gusto del vino è cambiato: il Professor Scienza – che abbiamo intervistato di recente – ha giustamente ricordato che ora si beve con il “cervello”.
I biodinamici non esistono. O li mettiamo fra i naturali o niente. Non esiste un gusto biodinamico. Consideriamoli parte dei naturali. Gli orange di contro non è detto che siano naturali.
I bianchi macerati credo siano destinati a rimanere una nicchia. Ovvero non c’è nessun motivo perché spariscano ma nemmeno che esplodano. Rimarranno come scelta; una scelta più ostica che può spiazzare. Forse si potrebbe servirli come i rossi per questa sua capacità di spiazzare…
A suo parere il gusto del vino cambierà ancora o certi vini rimarranno sempre “di nicchia” per pochi esperti e amatori?
I naturali non sono da considerare una nicchia. Sono il vino come dovrebbe essere e come si è sempre fatto prima che esistesse l’enologia. Poi non credo che esista la possibilità che la maggior parte della produzione possa spostarsi sul naturale anche se non vedo impedimenti per un produttore che voglia scegliere la via naturale per fare vini di alta qualità.
Sta lavorando a un nuovo volume. Ci vuole dare qualche anticipazione?
Difficilmente anticipo i progetti su cui sto lavorando perché non so se e quando uscirà.
Posso dire che non è un libro che parla di vino e soprattutto si sta rivelando di gran lunga il libro più complesso a cui abbia messo mano.
Sarebbe quasi pronto ma ogni volta che lo riprendo vorrei buttarlo e ricominciare. Un produttore se sbaglia un annata la declassa o la butta. Anche per chi scrive è così…