Che la chiamiate nota idrocarburica, di mela renetta o “puzzetta” da vino naturale, l’impatto che ha il riesling sul naso di un neofita non è sempre positivo. Molti lo considerano il pinot noir dei vini bianchi, il nirvana, il punto di arrivo di ogni enoappassionato che ricerca nuove e più intense emozioni nel calice. Ad altri invece non piacerà mai. Ho provato questa esperienza in prima persona: nel 2007, da poco avvicinatomi al mondo del vino, mi regalai per Natale un riesling di Pierre Frick, e non mi colpì per nulla. Dopo sette anni ho avuto la fortuna di riprovarlo, stessa annata ed era, per dirla come il compianto Pino Daniele, tutta n’ata storia. Come cambia il gusto, per fortuna…

Bellissima l’etichetta: un’antica illustrazione del colle di Juval
Il riesling di cui vi parlo oggi è l’altoatesino Castel Juval, dell’azienda agricola Unterortl di Reinhold Messner. L’etichetta raffigura la roccaforte situata sulla cima del colle di Juval, in val Venosta, sui cui ripidi fianchi crescono i vigneti sapientemente gestiti da Gisela e Martin Aurich. Il castello è invece la residenza estiva di Messner, che l’ha parzialmente adibito a museo di arte tibetana, maschere e oggetti da tutto il mondo dedicati al “mito” della montagna.
Paglierino classico alla vista, con lievi riflessi verdognoli, non ha sùbito l’impatto varietale, presente sì, ma non preponderante. Spicca piuttosto una bella componente esotica, melone e pompelmo rosa su tutti. L’assaggio è quanto di più invitante si possa desiderare: la spalla acida sostiene la struttura del vino e accompagna il valzer dei profumi, mela Smith, maracuja e ananas danzano nel calice con piacevole freschezza, sotto uno spartito di invitanti note salmastre.
Questo riesling mi ha colpito, oltre che per il suo assoluto valore, perché lo ritengo un primo step per chi vuole avvicinarsi al meraviglioso mondo del riesling.
Sia ben chiaro, non intendo dire che sia un riesling di medio livello, penso piuttosto che sia da provare prima dei mostri sacri renani e alsaziani. Il Castel Juval ha il pregio di avere una impostazione sensoriale che si avvicina molto al gusto dei bianchi italiani, senza però cadere nella trappola di essere monocorde nei profumi “franchi” del riesling, nella quale purtroppo cascano alcuni vini nostrani.