Ci sono storie che meritano di essere raccontate, tramandate; storie che non devono – e non vogliono – esaurirsi come candele esauste su un tavolo di un ristorante in riva al mare. Quella che sto per raccontarvi è una di queste e mi illudo, facendolo, di dare vita al protagonista, affinché chi legge possa fare altrettanto, in una specie di implicito patto tra giusti e assetati di verità.
E’ una storia che può far male, come un pugno nello stomaco; non ci sono sorrisi, in questa storia e non si tratta, per una volta, di vino, non subito almeno.
Placido Rizzotto è il primo di sette figli di una famiglia corleonese di inizio ventesimo secolo: il destino lo mette in fretta alla prova, privandolo della madre. Appena più tardi si mette sulle spalle i fratelli, poiché il padre viene arrestato per fatti di criminalità. Nel corso del secondo conflitto mondiale Placido si distingue nell’esercito e, dopo l’otto settembre, come partigiano.
Rientra a Corleone con la fine della guerra e si dedica ad attività sindacale e politica, tra le fila del Partito socialista. Sceglie di battersi per l’attuazione del decreto Gullo, che prevedeva il passaggio delle terre incolte o mal coltivate alle cooperative di contadini. Un decreto che puntava ad assottigliare la forbice tra il tenore di vita dei possidenti terrieri ed i lavoratori agricoli: in Sicilia qualcuno, mi viene da dire ovviamente, non ci sta. L’applicazione della legge, il primo baluardo di una democrazia degna di questo nome, viene evitata, elusa e in certi casi osteggiata con la forza.
I baroni latifondisti possono contare, infatti, su un alleato tristemente efficiente: la mafia, che con metodi facilmente intuibili, esercitava una strenua difesa delle terre dei possidenti. I contadini, da parte loro, chiedevano soltanto che si desse esecuzione a una legge dello Stato, e che fosse concesso loro la possibilità di lavorare. La possibilità di una vita migliore.
I baroni latifondisti possono contare, infatti, su un alleato tristemente efficiente: la mafia, che con metodi facilmente intuibili, esercitava una strenua difesa delle terre dei possidenti. I contadini, da parte loro, chiedevano soltanto che si desse esecuzione a una legge dello Stato, e che fosse concesso loro la possibilità di lavorare. La possibilità di una vita migliore.
Placido Rizzotto si schiera in prima persona nelle lotte per le assegnazioni delle terre, e questo coraggio, questo piglio che così limpidamente può anche facilmente fare da esempio, creare emulatori, beh, a qualcuno -anche questo- non piace.
Sembra una storia da romanzo, con tratti quasi ancestrali di lotte contadine e rivendicazioni di classe.
Sembra una storia da romanzo, con tratti quasi ancestrali di lotte contadine e rivendicazioni di classe.
In questa storia da romanzo e che romanzo non è c’è un altro personaggio. Luciano Leggio, più noto come Liggio, è un giovane corleonese desideroso di accreditarsi presso gli ambienti malavitosi siciliani: per ingraziarsi il capo mafia Michele Navarra, fa rapire ed uccide personalmente Placido Rizzotto, sbarazzandosi dei resti in una foiba nei pressi di Rocca Busambra, vicino Corleone. Un ragazzino che casualmente assiste all’omicidio, Giuseppe Letizia, viene ucciso tre giorni dopo dallo stesso Navarra, medico di Corleone, a cui si erano rivolti i genitori di Giuseppe in seguito allo stato di agitazione in cui era caduto a causa di ciò che aveva visto.
Luciano Leggio non pagherà mai per l’omicidio di Placido Rizzotto: verrà assolto per insufficienza di prove, in quanto i complici dell’assassinio, dopo aver confessato in maniera credibile e compiuta di fronte all’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ritratteranno, facendo cadere le accuse. Questa è la parte dolorosa. Questo è il pugno allo stomaco. Il sorriso giungerà molto tempo dopo.
Chi ha visto il film di Marco Tullio Giordana, conosce bene il significato de I cento passi, quelli di Peppino Impastato, anche lui coraggioso visionario ed anche lui martire di mano vile e violenta.
Oggi, l’associazione Centopassi disegna il riscatto dei siciliani coraggiosi ed unisce lo sforzo e la passione di tre cooperative dedite alla coltivazione di oltre quattrocento ettari di terreni confiscati alla criminalità organizzata, novanta dei quali dedicati a vigneto a coltivazione biologica. L’idea è semplice e geniale: comunicare il territorio attraverso ciò che alla Sicilia ed ai siciliani era stato sottratto.
L’associazione ha dedicato una linea a Placido Rizzotto, ed io oggi ho provato il Rosso Terre siciliane IGT, vendemmia 2012, prodotto da una delle tre cooperative di Centopassi, la Placido Rizzotto – Libera terra, ottenuto da vigneti dell’entroterra siciliano, a circa cinquecento metri sul livello del mare, da uve nero d’Avola e Syrah, più altri vitigni.
Il riscatto dei siciliani |
Si presenta color rubino luminoso, consistente. Impatto olfattivo fine, gradevole, con note di ribes fresco, traccia erbacea, polvere di caffè, speziatura avvertibile; al gusto è fresco e beverino, snello, tannino non energico, non perfettamente armonizzato ma comunque in linea al sorso. Durezze non esasperate, si distingue per agilità e freschezza, rendendolo perfetto a temperature leggermente più basse della norma, fedele compagno di piatti di carne non elaborati.
Il sorriso dopo il dolore passa attraverso queste piccole rivoluzioni: segnali tangibili che le cose possono cambiare, se davvero si vuole cambiare. Anche nella terra delle contraddizioni, dove fuoco e mare, neve e sabbia, bene e male convivono da secoli.