Il fiano di Avellino è stato considerato per molto,
troppo tempo un’uva di seconda fascia, destinata a un consumo immediato in
giovane, giovanissima età. Negli ultimi anni per fortuna i produttori di
campani hanno capito che la strada da seguire era quella esattamente opposta,
perché il fiano va aspettato, va lasciato affinare, evolvere, crescere (ne abbiamo parlato per la prima volta qui). 
Il
primo a capirlo è stato Guido Marsella, che ha messo in commercio i suoi vini
con un anno di ritardo, lasciandoli affinare in bottiglia. Oggi i produttori
hanno raggiunto la consapevolezza che i vini ottenuti da fiano in zona DOCG danno risultati notevolmente
diversi da un comune all’altro, in grado di dar vita a prodotti che hanno una propria
personalità, e quindi una precisa identità territoriale. L’area di
Montefredane, quella di Summonte o la zona di Lapio sono
sottozone ancora sconosciute al grande pubblico, ma i winemaker stanno
fortemente puntando sulla unicità di ognuna di esse. 


In questo contesto meravigliosamente prolifico e in
continua evoluzione troviamo Ciro Picariello, vignaiolo di professione dal
1997, (sette ettari di proprietà, di cui cinque coltivati a fiano e due divisi tra aglianico, piedirosso e sciascinoso) che insieme all’inseparabile moglie
Rita imbottiglia e produce il suo vino  sin dall’annata 2004;  Ciro è salito alla ribalta con il suo fiano con la produzione del 2008, che ha fatto incetta di riconoscimenti in Italia e all’estero. Troppo
scontato dunque tesserne le lodi, perlomeno in questo momento; apriremo un
fiano 2008 tra un anno o due, per testarne l’evoluzione.

Eh già, perché i vini di Picariello sfidano il tempo
con umiltà e decisione, con fierezza e spavalderia: per questo apriamo un 2007
senza alcuna paura di aver atteso troppo.
Il fiano di Ciro è un blend di uve provenienti da
due vigne, una a Summonte, 650 metri s.l.m. con un suolo povero, e l’altra a
Montefredane, esposta a sud est e più illuminata dal sole. Le uve della prima
danno al vino una notevole acidità, mentre quelle della seconda conferiscono le
cosiddette morbidezze, completando così lo spettro gusto-olfattivo.
Alla vista si presenta di un giallo paglierino pieno
con riflessi dorati, il colore è integro e nonostante i suoi sei
anni il vino non dà alcun segno di ossidazione; il colore piuttosto è
dovuto principalmente all’annata calda. Spunta una piacevolissima nota iodata
che fa da apripista a una bella notizia: il fiano di Ciro è ancora fresco,
freschissimo. Ola da stadio!!!
La prova olfattiva prosegue e i profumi mi
colpiscono a raffica, vorrei che non finisse mai… o quasi! Affiora subito la
nota minerale (pietra focaia su tutte) e ancor di più quella affumicata,
caratteristica di tutti i fiano di Picariello. Seguono a ruota sbuffi di timo e
menta selvatica.
In bocca il vino conferma tutta la sua freschezza e
la corrispondenza gusto-olfattiva è palese, infatti come al naso anche al
palato il frutto sembra nascondersi dietro le sopracitate note fumè e minerali,
ma in realtà ci va a braccetto: il sentore di pera coscia accompagna il gesso,
la percezione di ananas e mela cotogna danno profondità all’assaggio senza mai
rallentare il sorso. Finale ammandorlato con una piacevolissima
tostatura di nocciole. Notevole sapidità, ca va sans dire, e ottima PAI.

Fiano di Avellino 2007, Ciro Picariello

Questo vino mi ha fatto riflettere parecchio. Didatticamente
si dovrebbe definire “slegato”, perché le durezze (mineralità, affumicatura,
nota iodata, nocciola in fundo) e le morbidezze accompagnate da caratteristiche note fruttate e floreali viaggiano a
velocità diverse, con le prime nettamente più presenti rispetto alle seconde. Tuttavia non mi sento di penalizzarlo per questo, anzi. Non è propriamente in linea con le recenti annate di Picariello e dei fiano in
generale, ma ha una sua forte personalità, il mio gusto mi parla di un vino che fa
proprio delle durezze il suo punto di forza, perché lo rende dritto, invita di
continuo alla beva e pian piano concede nell’assaggio le morbidezze, una per
volta, con discrezione e comunque decisione. 

Queste caratteristiche si addicono
perfettamente all’accompagnamento coi piatti di pesce: io l’ho provato su una
tartare di spada e asparagi all’aceto balsamico e, credetemi, non avrei potuto immaginare abbinamento migliore.

87/100
Ha collaborato Gianpaolo Arcobello Varlese