Se n’è andato una domenica prima della vendemmia, con discrezione e senza chiasso. Nel suo stile. Beppe Rinaldi è stato – e sarà – un riferimento per il movimento vino, e non solo in Langa. Estraneo ai compromessi e alle logiche mercantili, Citrico aveva detto la sua anche a inizio anno, disapprovando l’aumento di trenta ettari per il disciplinare del Barolo, auspicando piuttosto l’inclusione del territorio di Alba. Difensore della biodiversità, stigmatizzava la rincorsa al denaro a tutti i costi, a discapito della qualità.
Conoscitore profondo della storia piemontese, è stato barolista tradizionalista, senza concessioni a pratiche enologiche “scorciatoia”. I vini Rinaldi sono destinati a sfidare il tempo, e scusatemi se ripropongo una locuzione abusata. I vignaioli dello stampo di Citrico non hanno mai fretta, conoscono la forza del tempo e sanno bene che il tempo non si può sostituire.
Fu critico – e molto – sulla modifica del disciplinare, quando a partire dal 2009 il Consorzio permise di scrivere in etichetta la vigna dalla quale il Barolo è stato prodotto, salvo poter aggiungere un 15% da una parcella diversa pur senza menzionarla. Un trucco, una bugia, diceva lui: ci costringono a mentire. Dopotutto i barolisti hanno sempre assemblato uve provenienti da vigne diverse, per poter raggiungere l’equilibrio tra le forze del vino: il cru è un’invenzione che in Barolo proprio non ci sta.
Un peccato non averlo conosciuto personalmente, un’occasione persa non potersi più confrontare. Beppe ci saluta e con lui la forza di un pensiero libero, lontano da condizionamenti commerciali, consolidato da una sapiente cultura e da un carattere forte.
Alcuni uomini lasciano il segno, per destino o volontà.
Ciao, Citrico.