La parola autoctono deve molto la sua diffusione all’enologia. Se difatti essa può essere utilizzata nel campo nella biologia, in geologia e in ambito etnologico (inquesto caso sarà più appropriato il termine indigeno), è nella nostra amata dialettica vitivinicola che essa trova quotidiana applicazione, al punto che quando vogliamo parlare di un vitigno autoctono, possiamo semplicemente dire un autoctono. La ricerca di vitigni scomparsi o la rivalorizzazione di altri poco diffusi ha fatto sì che oggi parlare di un vino prodotto con uve locali dia al consumatore una immediata identificazione di non omologazione.

Sulla scia di tale diffusione l’associazione Go Wine ha sapientemente puntato in questi anni, per promuovere i tanti produttori che hanno deciso di non seguire la facile via dei vitigni più famosi (e del guadagno assicurato) per percorrere quella più tortuosa ma ben più soddisfacente dell’autoctonìa.

Il 25 gennaio, all’Hotel Michelangelo di Milano c’eravamo anche noi per l’ormai consueto appuntamento con Autoctono si Nasce, e gli assaggi non hanno fatto altro che confermare l’assoluta qualità di un mondo, quello autoctono, che nulla ha da invidiare al ben più blasonato “internazionale”. Questa edizione, come proposte, ci è sembrata leggermente sottotono rispetto alle precedenti, ma lo standard qualitativo è rimasto comunque alto e le chicche non sono mancate. Ecco quelle che più ci hanno colpito:

 
Davvero una bella scoperta questa azienda del maceratese. La sua gamma di vini tiene fermamente fede al concetto di autoctonìa e legame al territorio. Tutti i vini presenti ci hanno dato la sensazione di eleganza e pulizia, non risultando mai ciccioni o piacioni e per nulla muscolosi. I bianchi sono tutti monovitigno e tutti dotati di una propria, distinta personalità. Su tutti spicca l’ottima Ribona 2016 Pausula, un bianco di buona struttura e di spiccata mineralità, frutto croccante e ancora in via di espressione. La chiusura sapida conferma che ha davanti ancora un po’ di anni per esprimersi. Un’uva davvero interessante, vinificata per ora solo da 12 aziende, ma siamo pronti a scommettere che nel giro di pochi anni diventeranno molte di più. Torneremo a parlare di questa cantina, eccome se ci torneremo…
Se il Cesanese non ha ancora avuto il successo che merita è solo per una mera questione di scarso appeal commerciale, ma non lasciatevi ingannare, il mondo vitivinicolo laziale ha tanto da raccontare e tante uve locali con un potenziale enorme. In giro ci sono vini buonissimi, come questo Cesanese del Piglio Massitum 2015, ancora fragrante ma promettente, con un naso diretto e fiero e l’alcol scalpitante.
 
I vini di quest’azienda di Oliena, nel nuorese, non hanno mezze misure: si amano o si odiano. Il loro trait d’union è l’artigianalità, e tutti, bianchi e rossi, sono vini ampi, pieni, a tratti grassi, dall’impatto olfattivo e gustativo ricco e forte, pieni di corpo e struttura, sebbene a volte l’alcol prenda un po’ “il sopravvento”. Per chi vuole affrontare questi tempi duri con roba forte, i vini di Gostolai sono quello di cui c’é bisogno!
 
Interessante la mini verticale di due annate del Timorasso Morasso in assaggio. Il 2014,  scontroso, duro al palato e ancor più al naso, ancora alla ricerca di equilibrio ma proprio per questo intrigante: da riprovare tra un paio d’anni. Il suo fratello maggiore di un anno invece, è un Timorasso nella sua accezione classica, fresco e vivace, snocciola aromi gessosi ed erbacei. Buona la sapidità che accompagna tutto il sorso. Finale persistente e piacevolmente amaro. 
 
 
L’azienda friulana si è sempre distinta per i suoi vini puliti, freschi ed eleganti. Nota di merito per la Ribolla ferma 2016, in cui spiccano i profumi di glicine, margherita e camomilla, una nota erbacea a dare il giusto break alle dolcezze, e una bocca fresca e pulita, sapida. Quando si dice la coerenza!
 
 
Davvero suadente il Grechetto Sassi d’Arenaria 2015,che ci regala un fine intreccio di profumi di erbe aromatiche e fiori con note dolci di frutta matura a polpa gialla, e la bella struttura frutto di un affinamento di 6 mesi.
 
Nota di merito infine per gli oli EVO dell’oleificio siciliano Lu Trappitu, in particolare il Liolà Bio, da cultivar Moresca 80% e Nocellara del Belice 20%. Verde luminoso, profumi intensi di erbe aromatiche e tratti vegetali. Gusto equilibrato di grande appagamento.