Non c’è Paese al mondo con un patrimonio ampelografico autoctono come l’Italia, e, in Italia, la Regione che primeggia è senza dubbio la Campania.
Se molti vitigni campani, grazie alle loro doti assolute, hanno conquistato i palati del mondo, per molti altri il futuro è ancora tutto da scrivere.

Dopo essere scampati (ma non tutti purtroppo) ad una estinzione che sembrava ineluttabile, iniziano da poco ad affacciarsi timidamente, ma con una tendenza incoraggiante, fuori da una diffusione prettamente locale.

Vitigni dai nomi curiosi, affascinanti, talvolta dialettali, alcuni ormai estinti, ma altri fortunatamente sopravvissuti grazie a qualche testardo viticoltore che non ha ceduto alle facili lusinghe dei vitigni “calati dal nord” con le loro relativamente sicure rese, perseverando nel lavoro dei padri. Relegati in qualche caso ad appena qualche ettaro, rappresentano la sintesi massima del connubio tra la natura e il lavoro dell’uomo protratto nei secoli.

Un vino che ho conosciuto in una rassegna di vini biologici/biodinamici e che mi ha favorevolmente colpito è lo “Sciascinoso” di Podere Veneri Vecchio di Raffaello Annichiarico, in Castelvenere (BN).
Innanzitutto è un vino naturale, nelle vigne non vengono utilizzati diserbanti, pesticidi o prodotti chimici di sintesi di alcun genere.

Questo lo rende più “vulnerabile” nella conservazione in cantina, ma l’obiettivo di chi produce un vino naturale è innanzitutto quello di creare un prodotto sano, in armonia con l’ecosistema e nel rispetto della terra intesa (anche) come terreno, ragionando in termini artigianali e non imprenditoriali, consapevoli di tutelare un antico patrimonio genetico e culturale.
Il prodotto così ottenuto è effettivamente più sano, poterne bere 2-3 bicchieri senza alcun riscontro negativo in termini di mal di testa ne è una conferma empirica immediata.

Lo Sciascinoso che ho degustato è il “Frammenti di terra” del 2011, un vino fermentato con lieviti indigeni, lungamente macerato sulle bucce, affinato in botti tronco-coniche di castagno e dopo circa un anno imbottigliato senza filtrazioni né chiarifiche o aggiunta di correttivi di alcun genere.

Il biglietto di presentazione è di un vino “selvatico” e di sicuro non siamo di fronte ad uno dei tanti vini “convenzionali”, dal gusto gradevole ma troppo omologato per piacere un po’ a tutti.
Qui l’espressività del vino è evidente, grande irruenza di profumi, aromi di frutti rossi come la susina, ma anche humus e note boisèe sorretti al palato da un bel tannino non più eccessivamente affilato. Dopo un tale ingresso così sgomitante emergono quasi dolcemente, come un contraccolpo gentile, sentori più delicati, come la menta e lievi note balsamiche di erbe officinali come il rosmarino, quelle erbe che riescono a mantenere la loro delicatezza anche dopo le intemperie più severe.
Chiude lentamente grazie ad una grande persistenza.

Personalmente nutro da sempre grande rispetto “a prescindere” per vignaioli che producono vini in armonia con la loro terra, se poi sono anche vini emozionanti come il “Frammenti di terra” del Podere Veneri Vecchio, la mia ammirazione è totale.