Girovagare per le contrade di Marsala è un’esperienza particolare. L’autostrada da Trapani termina a Birgi e prosegue sullo Scorrimento Veloce o la Statale 115 all’interno, oppure la SP21 più vicina alla costa. A destra ho lo Stagnone con la sua acqua cristallina e la sabbia bianchissima e dietro il monte Erice. L’orizzonte è lontano; le colline sulla sinistra in direzione Santa Ninfa e Castelvetrano sono il territorio perfetto per le pale eoliche e intorno a me piccole abitazioni, piccoli borghi sono circondati ora vigneti, ora uliveti in un alternarsi quasi senza fine. Passare di qui in estate mi dà sempre una sensazione di  tranquillità, di uno scorrere del tempo lento, di un ritorno ad un’infanzia trascorsa in luoghi simili. Una vita “slow”. Sono vicino alla mia destinazione e me ne accorgo perché il Santuario del Santo Padre delle Perriere (le cave di pietra) scavato nella roccia tufica è a due passi dall’azienda Marco De Bartoli.

Una visita di puro piacere per passare qualche ora insieme a Gipi e Renato chiacchierando di marsala, di storia, di Sicilia, fra un assaggio di Grappoli del grillo e un altro di Vecchio Samperi.

Gipi cosa vuol dire produrre Marsala oggi? Senti un collegamento con il passato storico di questo vino?

Renato, Sebastiano e Gipi

Abbiamo una concezione “personale” perché ci siamo nati. Per noi il marsala è un vino e come tale meno ci si mette mano, meglio è. Se parliamo di un passato “recente” post British (inizio del 1800, ndr) la risposta è no! Se parliamo del vino ancestrale, quello che si faceva in Sicilia “in perpetuo”  ovvero rabboccando le botti scolme del vino consumato durante l’anno con il vino nuovo beh, è un altro discorso. Quello è il vero marsala; fatto nei bagli, in vigna, non mistificato… in questo ci identifichiamo. Quindi si siamo legati a questa concezione.
Papà ha fondato l’azienda circa quarant’anni fa in un momento critico per il marsala che vedeva realtà industriali avvicendarsi con prodotti (di qualità infima, ndr) chiamati marsala aromatizzati alla banana, al caffè, all’uovo, eccetera…
Era il momento di fare un passo indietro per farne uno avanti. Dopo aver ereditato questo baglio dai nonni si dedicò al recupero di vari millesimi dell’epoca. Trovò così un vino naturale alla vecchia maniera, perpetuo, un vino della tradizione marsalese prima che gli inglesi lo fortificassero per il trasposto e aggiungessero mosto per addolcirlo. Oggi questo vino si chiama Vecchio Samperi.

Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano nella produzione di Marsala?
In realtà non abbiamo molte difficoltà nel senso che per noi che lavoriamo da sempre in naturale con basse rese in vigna non è un problema. Questo non vuol dire che produrre marsala sia semplice, affatto, Il problema è la vendita di un prodotto che ha una reputazione insufficiente; ne hanno fatto “minnitta” (l’hanno sprecato, ndr). Ed è anche più difficile spiegare il lavoro che c’è dietro e aprire gli occhi al consumatore che non ha idea di cosa si trova davanti e in più ,in Italia, è anche pregiudizievole.
Che cosa vi ha portato a diversificare la produzione, giungendo a produrre anche vini Metodo Classico? 
La sperimentazione.
Partendo da papà e ora con i miei fratelli siamo sempre stati legati ad innovazione e tradizione. Così da un lato siamo passati dal produrre il primo grillo secco da tavola (quando in origine l’uva grillo era solo utilizzata per il marsala) e dall’altro al ritorno all’antico “vino del baglio” .
Papà aveva grande intuito e coraggio e aveva capito che vendemmiando in anticipo e vinificando a freddo si poteva fare un metodo classico di qualità. È stato mio fratello Renato però che continuando questa tradizione ha sperimentato la Terzavia del grillo, il nostro metodo classico appunto che oggi viene prodotto in ben tre versioni.
In questa azienda ci sei nata. Qual è l’aneddoto che ricordi più spesso, o che ti fa sorridere, ripensandoci?
Ah quanti! Ne avrei tantissimi… Aspetta ci penso… 
L’azienda è fortemente radicata al passato, tuttavia in futuro ci sarà qualche novità? Cambierà ancora qualcosa nella produzione?
La sperimentazione come vedi è sempre in atto. Penso che qualche altra novità salterà fuori. Ciò che non cambierà sono i principi che ci ha tramandato nostro padre, su cui ci fondiamo. Puoi girarci intorno ma il fulcro è quello lì. 
Domanda classica: cosa bevi quando non bevi i tuoi vini?
Birra! (ride)
Mi piace conoscere i vini di zone nuove anche non siciliani e piuttosto che bermi qualcosa di mediocre bevo una buona birra. Mi piacerebbe molto trovare vini interessanti e sono sempre alla ricerca. 
Come sta andando l’annata 2015?

Assolutamente bene! Si vedeva già dal mese scorso.
Il tempo è stato ottimo continua ad essere buono rispetto alle ultime due annate. Gli autoctoni hanno bisogno del clima autoctono. 
Il cambiamento climatico: qualcuno dice una sciagura, qualcuno un’opportunità. Come la vedi?
Il sole nel calice

Dipende. Che poi tutto ‘sto cambiamento climatico… qualcosa è cambiata ma almeno qui non vedo tutte queste catastrofi. È un ciclo. Io ricordo sempre estati calde come questa al contrario degli ultimi tempi che invece ha fatto più fresco.
Certo se pianti lo chardonnay in un clima come quello siciliano magari qualche problema lo avrai. Non è un caso che qui da noi si producano vini ossidati con queste temperature…

L’importanza del vino naturale: per il pubblico medio secondo te è così importante sapere che il vino è biologico piuttosto che proveniente da agricoltura biodinamica?
Noi facciamo biologico per principio e infatti non si utilizza chimica da 40 anni, quando non esisteva nulla di biologico come lo intendiamo oggi.
Siamo favorevoli al concetto di vino biologico o biodinamico, ben venga, ma per noi non fa differenza; la differenza lo fa il modo in cui si lavora.
Devi lavorare bene.