Nell’universo “vino” parlare di Francia non è mai abbastanza, e il cuore della Francia, geografico ed enologico, è la Borgogna.
Pertanto, partecipare ad una degustazione guidata sui vini di quella Regione, può rivelarsi un’importante occasione per stimolanti riflessioni, oltre che un autentico piacere organolettico.
L’evento è stato organizzato dalla sala degustazione Wine tip, a Milano, uno spazio all’interno di un ex deposito al di sotto di un palazzo, con scaffali colmi di splendide bottiglie, anche di distillati.
Nell’occasione c’erano i vini di Mongeard-Mugneretun Domaine di circa 30 ettari, distribuiti su 35 appellations negli appezzamenti più prestigiosi di Borgogna. 
Si è trattato di un’orizzontale, millesimo 2012, tutti pinot noir 100% in un’annata caratterizzata da un inverno piuttosto rigido e nevoso che ha causato un ritardo nel germogliamento,  per cui le viti  hanno prodotto grappoli più piccoli della media, con buccia spessa e grande concentrazione di aromi. Una contrazione quantitativa, compensata da un elevato livello qualitativo.

E’ considerato uno dei migliori millesimi degli ultimi anni.
Per aprire la serata c’era una appellation Régionales aligotè 2013, “fuori concorso” oserei dire, un vino di pronta beva, acido, fresco, con sentori agrumati di pompelmo e limone, ma anche di mela verde poco più che acerba, delicati aromi erbacei di fieno e quella mineralità quasi gessosa caratteristica di alcuni bianchi di queste parti. Un buon vino da aperitivo, utilizzato anche per il Kir, ma nulla di trascendentale.
Inizia quindi la vera orizzontale, e il ruolo di apripista spetta al AOC Bougogne Hautes-Cotes de Nuits Rouge “Les Dames Huguettes”, prodotto con una macerazione sulle bucce di almeno due giorni, affinato in barriques rigorosamente di secondo passaggio per dodici mesi. Presenta al naso intensi e piacevoli aromi di frutta rossa, a cui corrisponde una bella acidità a livello gusto-olfattivo. Un vino pronto, che non ha bisogno di particolari ricorrenze per essere consumato.
Si sale di livello ed arriva l’ AOC Fixin Village, un Village poco distante da Gevrey-Chambertin
Per questo vino iniziano ad essere utilizzate le botti nuove, ma solo per un 5-10% del totale, e l’affinamento in legno è di poco più di un anno.
Rispetto al precedente si iniziano a percepire sentori balsamici, la frutta prevalente è quella sotto spirito ed ha una maggiore struttura.
Fin qui, per quanto abbastanza fini ed eleganti, siamo nell’ambito di vini che non lasciano un ricordo memorabile di sé, buoni si, ma non straordinari.
Ed è da qui che si apprezza la capacità, ma anche la serietà dei francesi nell’assegnare le denominazioni.
Oltre ad un sapiente utilizzo del legno, con un attento dosaggio tra barriques di secondo passaggio e nuove in base al tipo di vino da produrre, la differenza sta nel Cru, e le denominazioni non fanno altro che inseguire la natura, l’ambiente pedoclimatico, individuando la maggiore vocazione di alcuni terreni rispetto ad altri e di conseguenza, attribuendo loro una denominazione di livello qualitativo più elevato. 
Il salto di qualità arriva con l’ Aoc Vosne-Romanée Premier Cru “En Orveaux”.

Tutti in sala percepiscono che la degustazione è stata letteralmente spezzata in due, viene segnato un ideale spartiacque oltre il quale c’è solo eccellenza pura.
L’annata è la stessa, e anche il vitigno. C’è un maggiore utilizzo di botti nuove (almeno il 40%), le vigne sono su un ettaro di terreno, e le viti hanno tra i 25 e i 50 anni. Teoricamente le differenze sono tutte qui, apparentemente non dovrebbe esserci troppo divario rispetto ai precedenti…
Invece sembra di aver cambiato serata.
Il colore è nettamente più carico, al naso inizialmente si apre con note speziate, erbe officinali, sentori balsamici, piccoli frutti rossi, e in bocca rivela spezie morbide, come la liquirizia, grande rotondità, quasi cerosa, da vini già invecchiati.
Col trascorrere di qualche minuto inizia ad evolvere, e compaiono aromi di humus, terriccio di bosco, castagne bollite. Al naso anche pelliccia, forse un accenno di cuoio.
Un vino davvero notevole, pronto subito, ma con un periodo di maturità che si prevede lunghissimo.
A chiudere la serata il quinto vino, il quarto dell’orizzontale, AOC Echezeaux Grand Cru.

Qui le botti nuove lasciano evolvere almeno l’ 80% del vino, che giunge da un ettaro in un Grand Cru di circa 30 in totale.
Le viti raggiungono anche i 60 anni e la produzione del 2012 è di circa 6500 bottiglie.
Tra qualche anno varranno un patrimonio.
Il colore è ben carico, con soltanto qualche riflesso che lo accomuna ai giovani pinot noir, la sua potenza strutturale è evidente già da qui.
Al naso offre subito un corredo davvero ampio, come se sommasse tutti i sentori dei vini precedenti, con l’aggiunta di note tostate, di torrefazione, ma anche cacao, cioccolato fondente….
E poi in bocca, grande rotondità dal primo ingresso, evolve in note di cuoio, cioccolato, funghi, tartufi.
E’ davvero lunghissimo, basta un sorso e resta in bocca per minuti, non secondi.
In una degustazione alla cieca potremmo facilmente attribuirgli un’età ben maggiore, così prorompenti sono gli aromi terziari da quasi nascondere un’acidità che invece è presente, ma la nitidezza degli aromi, la loro intensità e la quantità, oltre alla loro continua evoluzione nei pochi minuti che abbiamo avuto, possono mettere in ombra la presenza delle durezze.
Ma quelle ci sono e rendono il vino straordinariamente equilibrato.
Durante la degustazione abbiamo tentato di immaginare l’evoluzione nel tempo di questo splendido vino, proiettandolo tra 10 anni, o tra 20….  difficile ipotizzare come diventerà, come si saranno articolati i profumi terziari, che tipo di sensazioni lascerà nella bocca di chi lo assaggerà.  Su un aspetto eravamo d’accordo: raggiungerà quotazioni difficilmente abbordabili. 
Il vino “alla maniera dei francesi” è ancora il punto di riferimento mondiale. Hanno iniziato prima degli altri a ricercare la qualità, e adesso possono giovare di un bagaglio culturale ed esperienziale assolutamente vastissimo. 
Che sia di stimolo per tutti.
Chapeau, Borgogna.