Il dolcetto è il vino quotidiano. I piemontesi lo sanno bene, specie coloro che frequentano le vecchie osterie di paese, o le trattorie sulle desolate statali del Monferrato o langarole. Luoghi senza alcuna attrattiva estetica, forse, ma capacissimi di regalarti emozioni culinarie di un certo tipo. Qui il dolcetto spesso ha ancora un’anima del tutto popolare e non per questo priva di dignità, anzi. Non tutti sanno che è l’uva più diffusa delle Langhe e che era utilizzata come merce di scambio per i traffici commerciali con la Liguria o altre zone piemontesi, per avere olio, sale, pesce o altri beni.
Colpevolmente non avevamo mai dedicato un post specifico al dolcetto che – voglio dirlo senza mezzi termini – è un grande vitigno, trascurato dai più. Ai tratti tipici gioviali, vinosi, esuberanti di questo vitigno si può aggiungere una importante variabilità, fornita dalla speziatura e dalla diversificazione dei suoli dai quali il dolcetto può provenire.
Ripariamo subito al torto di averlo ignorato così a lungo con una testimonianza, anzi tre, provenienti dall’azienda Mario Rivetti, a sud est di Alba.
Già dal 1968 Mario Rivetti dimostrò coi fatti di essere un precursore, rendendosi indipendente e vinificando i propri vini quando non erano in tanti a farlo.
Dal 2000 sono Loredana e Anna Maria – le figlie di Mario – a occuparsi dell’azienda, aiutate dai rispettivi mariti, Domenico e Giuseppe.
Accompagnato da Alessandro – il mio riferimento in terra di Langa – ho fatto visita alla cantina Rivetti. È Giuseppe ad accoglierci: Cascina Serre domina lo spazio circostante, a circa 350 metri sul livello del mare. In lontananza si vede Treiso e il panorama premia gli occhi di chi osserva.
Cinque vigne si dividono i dieci ettari di proprietà: tra queste Bricco Capre, la più vecchia dell’azienda. Qui si coltiva il nebbiolo, la barbera ed il dolcetto. Come dicevamo, è proprio di Dolcetto d’Alba superiore la piccola verticale che Alessandro ed io abbiamo la fortuna di provare. Una verticale di annate dispari, anni in cui il dolcetto ha trovato un clima favorevole, con moderata escursione termica. Giuseppe ci spiega che a dispetto del nome, il carattere del dolcetto non è affatto docile: il vitigno infatti teme le forti escursioni termiche, in presenza delle quali smette di maturare.
Nel 2013, già provato in occasione di Grandi Langhe, ho ritrovato una forte personalità, una espressione quasi verticale, fruttato e fragrante – certo – ma per nulla scontata. Gran bevibilità, senza cedimenti nel corpo, senza impennate di alcol.
Il 2011 è caratterizzato impronta olfattiva è fortemente floreale, violetta, iris ma anche un sentore nitido di fragolina di bosco. Il corpo è sinuoso ed appaga il palato. Non stanca nemmeno se bevuto a secchi, anziché a calici.
Il 2009 è davvero una sorpresa entusiasmante: il rosso ha perso le sfumature violacee giovanili, è granato e ricorda il vestito dei barolo maturi; al naso è una carezza di amarene speziate, tabacco, cioccolato, cannella, mixati sapientemente, scanditi perfettamente. Lo assaggiamo: il tannino ancora ben presente, centrato e fine, la freschezza non arretra e il sorso restituisce lentamente quanto percepito al naso. La stoffa è del grande vino, pur senza orpelli: un inno alla semplicità e alla qualità.