L’associazione
Gowine è sempre molto attiva nella divulgazione delle eccellenze vitivinicole italiane e noi di Appunti di degustazione, da fortunati simbionti, cerchiamo di non perder mai l’occasione di raccontare con le nostre parole, semplici si spera, il risultato di tanto lavoro e attesa, frutto della moltitudine di variabili quali persone, territorio, tecnica.
In Italia siamo fortunati, almeno per quanto riguarda il vino, perché possiamo contare non solo su un ambiente pedoclimatico estremamente vario, ma soprattutto su una moltitudine di vitigni autoctoni, più di 400 secondo alcune stime, la cui genesi si perde nei secoli e millenni passati, agli albori di etruschi, greci soprattutto, fenici e romani.
Oggi raccontiamo una piccolissima parte di questo retaggio.
Costa d’Amalfi Doc Furore rosso riserva Marisa Cuomo (sì, sempre lei… siamo innamorati dei suoi
vini che devo dirvi), una prima volta personale per questo blend di piedirosso e aglianico.
Sull’aglianico abbiamo scritto temi e lodi in molteplici occasioni; spendendo due parole sul Piedirosso possiamo dire che è un’antica varietà campana probabilmente originaria dell’aera circumvesuviana, e vitigno principe della zona. Menzionato nel sedicesimo secolo per la prima volta con il sinonimo di palomina nera e solo dal 1905 come piedirosso deve il suo nome al colore rosso di fusto e stelo che somigliano ad artigli di piccione al momento della raccolta.
Il Furore rosso riserva ha colore rosso rubino profondo che sfuma in granato; al naso spiccano frutti neri, tamarindo e mineralità balsamica con ritorni di anice stellato.
Una bocca piena, carnosa, ancora a tratti giovanile eppure equilibrata: il tannino, secco e vigoroso, colpisce la bocca e come una bravo scultore sa dar forma alla pietra, ne plasma il sorso. L’ acidità viva tipica dell aglianico, scalpitante, compensa e bilancia l’apporto alcolico.
Gran vino, consigliatissimo.
Un rosso pugliese, forse poco noto ai più che mi ha colpito, è il Susumaniello Verso Sud i Pastini.
I cenni sul susumaniello riportati sul sito del produttore (
qui) ci fanno capire appieno il concetto di autoctono:
Importato (non si sa come, quando e perché n.d.r)
dalla vicina Dalmazia il Susumaniello è uno dei vitigni autoctoni più importanti del brindisino. Il suo nome (diverse sono le teorie) è dovuto al fatto che, in età giovanile, in tempi non recenti, la pianta di Susumaniello era particolarmente produttiva, tanto da sovraccaricarsi di grappoli come fosse un asinello. Il nome VersoSud è indice della posizione delle vigne, ubicate nella zona più a sud della Valle d’Itria arrivando nel territorio della provincia brindisina.
Evocativo non vi pare?
Naso da impatto i cui tratti caratteristici sono quelli aromatici di pepe bianco, anice e cannella; molto meridionale.
La bocca è anch’essa molto particolare ed intrisa della stessa aromaticità con un finale su decise note di frutta secca e passita. Affumicatura da legno importante.
Bello per diversità, ma difficile da bere a solo, lo vedo meglio in abbinamento a piatti decisi, speziati, magari dal sapore orientale.
Non mi convince del tutto l’ingresso in bocca, sottotono dapprima, che però si riprende con uno slancio quasi salino sul finale.
Continuiamo il nostro viaggio e mettiamo una bandierina sulla Vernaccia di Oristano riserva Valle del Triso IGT di Silvio Carta.
Alcuni studiosi affermano che la Vernaccia sia stata introdotta in Sardegna dai Fenici intorno all’800 a.C., nei pressi di Tharros, altri che sia “simile” alla Garnacha spagnola, altri ancora che sia una diretta discendente della vite selvatica della valle del Triso (il che spiegherebbe l’origine etimologica del termine vernaculus, nativo). In verità non abbiamo certezze…
Siamo di fronte ad un vino dolce dal colore ambra vivo e brillante. Inno al fungo essiccato al naso ma anche pizzicore di un alcol non perfettamente integrato.
Al palato mandorle e ancora funghi in una grande morbidezza gustativa, scomposta però, dall’apporto alcolico fuori fase. Riflettendoci bene credo sia un gran vino rovinato da una bottiglia non perfetta. Spero di riprovarlo in futuro.
Oggi è giornata di sperimentazione e poco importa se la successione dei vini non è accademica. Torno sui rossi e precisamente sulla Freisa di Chieri secco vivace Doc di Balbiano.In passato sono stato sfortunato con questo vino per via di una bottiglia fallata.
Rubino da manuale con una lievissima spuma che svanisce alla vista dopo i primi istanti. Il naso è semplice, vinoso e definito su note croccanti di fragola e frutti rossi freschissimi. Il contenuto apporto alcolico, il tannino appena accennato e la pronta beva lo rendono adatto ad aperitivi leggeri o anche a primi e secondi piatti di pesce, magari con un filo di salsa di pomodoro o dai ricordi mediterranei. Dalle Alpi alle piramidi… È proprio il caso di dirlo.
Restiamo al nord, più a nord, in Valle D’Aosta, all’interno dell’omonima Dop più specificamente nella sottozona Blanc de Morgex et La Salle.
Parliamo di Ermes Pavese e del suo eclettico priè blanc da viti a piede franco.
Il Priè Blanc è una delle più antiche varietà della regione, menzionato fin al 1691, e oggi quasi esclusivo valdostano. Recenti studi sul DNA hanno inoltre evidenziato caratteristiche genetiche simili ad Albillo Real, Legirulea e Lairén spagnoli, e Mayolet, Primetta (Valle d’Aosta) e Lugliena (Piemonte).
Ebbene sembra proprio che il Priè Blanc sia il progenitore di questi cinque vitigni e foriero di biodiversità.
Il primo vino degustato da 100% Priè Blanc è il Blanc de Morgex et la Salle metodo classico 2010, pad dosè, non ancora sul mercato.
Agrumato al pompelmo e intriso di diverse note floreali e minerali. Non campione di struttura ma diretto e piacevole. Molto versatile, a tavola sta bene quasi su tutto. Ottimo assaggio.
Il 2013 è la versione secca e rivela un naso fortemente minerale, roccioso come mi piace dire. Al sorso è tagliente e di impatto deciso; ti affetta il palato in un rimpallo acido-salino notevole. Giovanile è dir poco…e infatti provo anche il 2010.
Questo gioca su note più balsamiche e iodate (gomma da cancellare come dice la mia amica sommelier Emma). Sempre di importante acidità ma
più equilibrato con lampi di idrocarburi al naso lo trovo ottimo.
Torneremo sicuramente sull’argomento autoctoni, oggi abbiamo scoperto qualcosa in più su alcune uve poco note che sono patrimonio della nostra terra. Approfittatene, la prossima volta, se vi capiterà di assaggiarle e soprattutto non snobbatele.
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