Avevo promesso che me ne se sarei occupato oggi (Un invito informale, con 2 francesci. Parte Prima) ed eccomi qua, puntuale.
Dove ero rimasto? Ah si dovevo parlare del secondo francesce.
Alla cieca anche questo.
Mentre il bicchiere si riempie gradualmente, guardo colore e consistenza. Quasi nessun dubbio su cosa sia, questa volta!
Piuttosto fiero di me e con una certa sicumera mi pronuncio:
“Può essere solo due cose; Pinot Nero o Nerello Mascalese”.
Non ricordo se ne ho già parlato ma c’è un elemento che accomuna queste uve: entrambe infatti mancano di un antociano (Wiki) del colore rosso pertanto risultano di un inconfondibile rosso rubino scarico, quando giovani.
Pinot Noir Vieilles Vignes 2010 Domain Joseph Voillot, Cote D’Or |
E’ il Pinot Noir Vieilles Vignes 2010 Domain Joseph Voillot, Cote D’Or.
Inteso e complesso sprigiona profumi che evolvono velocemente in mezz’ora circa.
All’inizio domina la speziatura, chiodi di garofano credo, l’impronta vegetale di tabacco e una leggera tostatura.
Poi saltano fuori i frutti rossi insieme alla tenue nota erbacea del pomodoro.
In bocca non me l’aspettavo…molto fresco, vibrante quasi, presenta anche un tannino equilibrato che asciuga piacevolmente. Anche la sapidità di contorno è bilanciata dalla morbidezza.
Buona la componente fruttata ben integrata nel leggero sentore di legno.
Rimane per svariati secondi lasciando un bella sensazione di freschezza.
E’ un vino che indubbiamente offre enormi potenzialità di invecchiamento e che allo stato attuale, sebbene pronto, risulta solo abbastanza armonico per me, ma comunque un grande vino.
Lo vedo benissimo per una cena a due, a lume di candela, in riva al mare, con il sottofondo delle onde.
Signori, Standing Ovation per Francesco!
Certe telefonate cambiano il senso di una giornata, a volte. Sentendo il bisogno di un valido interlocutore, ho telefonato a Gabriele sapendo che potevo contare su di lui, e poco importa – anzi proprio nulla- se si presenta a mani vuote (iniziamo a vederci spesso, la consuetudine potrebbe diventare onerosa!). Sono di ritorno da un viaggio in Francia nel quale -udite udite- non ho bevuto granché; avverto quindi la necessità di attingere alla collezione d'oltralpe personale, dove pesco, in prima battuta, lo Chablis Saint Martin Domaine Laroche, acquistato a Parigi lo scorso luglio, nell'enoteca di un amico italiano vicino il quartiere latino. So già cosa aspettarmi, ed è proprio quello che voglio provare; chissà se alla cieca Gabriele capirà di cosa si tratta?! In effetti già al primo sorso gli si illumina il volto, lo osservo mentre ripesca dalla memoria le stesse sensazioni che il Saint Martin gli sta facendo percepire: "mi ricorda uno Chablis!". Beh, gli faccio i complimenti, ci ha preso in pieno. Non era facilissimo, considerando che ho persino cercato di sviarlo, e dirgli, in premessa, che al naso era piuttosto franco non è un grande aiuto. Gran bel vino, che sposa in pieno la filosofia produttiva di questa zona della Francia, convenzionalmente inserita nella enografia borgognona. In realtà, oltre alla distanza geografica tra lo Chablis ed il cuore della Cote d'Or (circa 150 chilometri), le differenze si possono riscontrare nel calice molto facilmente. Il terreno in Chablis è particolarmente ricco di un fossile, l'exogyra virgula, che dona ai vini della zona le caratteristiche note minerali, quasi iodate, distintamente sapide. A differenza degli chardonnay della Cote d'Or, inoltre, qui in Chablis di legno non si sente parlare quasi per nulla, con vinificazioni esclusivamente in acciaio e/o cemento. Personalmente trovo condivisibile questo approccio, che regala vini tesi, nervosi, assolutamente varietali e privi di compromessi.