La Masseria Amastuola, Wine Resort.
Quando parliamo di vino, di cantine, di produttori, bisognerebbe parlare sempre anche di territorio.
Perché il vino è, o almeno dovrebbe essere, espressione diretta della cultura del territorio dove viene coltivata la vite, raccolti i suoi frutti e prodotto il prezioso liquido alcolico caro a Dioniso.
Può sembrare lapalissiano, ma credetemi, non lo è.
Diffidate sempre se sull’etichetta di una bottiglia di un vino strettamente legato a uno specifico territorio, è riportato “imbottigliato da…” in una località molto lontana dal territorio d’elezione di quel vitigno.
Ben che vada ci troveremo di fronte a un prodotto banale, senz’anima.
In questo caso invece vi parlo di una Cantina fortemente radicata nel territorio, in una parte della Puglia bellissima e selvaggia, dove si respira lo storia millenaria di quei luoghi e che interpreta al meglio il territorio con i suoi vini, esaltandone le caratteristiche, preservando e anzi migliorando il paesaggio circostante: la Cantina Amastuola.
I vigneti a onde di Fernando Caruncho.
Il vigneto è un meraviglioso esempio d’integrazione fra estetica del paesaggio e produzione agricola.
Il progetto, che ha ottenuto premi e riconoscimenti importanti in tutto il mondo, è firmato dal famoso architetto paesaggista Fernando Caruncho, che ha disegnato onde di filari di viti che seguono l’andamento dei rilievi delle colline, ottenendo un effetto ottico di grande impatto visivo, quasi a creare un raffinato giardino.
Ulivo millenario.
Sono presenti inoltre circa 1500 ulivi secolari monumentali (alcuni con un diametro di oltre 2,5 metri) e muretti a secco ovunque si posi lo sguardo.
Le vigne sono in agro di Crispiano, in provincia di Taranto, in quella zona di Puglia meno conosciuta che segna il confine fra la Murgia carsica fatta di Gravine calcaree e boschi selvaggi, e le coste basse e sabbiose del litorale tarantino.
Le affascinanti Gravine sono veri e propri Canyon, scavati dall’azione secolare dei fiumi nella tenera pietra tufacea, fino a raggiungere la profondità anche di duecento metri, come nel caso della Gravina di Laterza.
La Gravina di Massafra.
Fin dai tempi più antichi, l’uomo abitò le Gravine e scavò nel cedevole calcare che le compongono, le proprie case, i luoghi di culto e preghiera, i rifugi per le greggi e per accumulare i raccolti, dando origine alla civiltà rupestre che qui vi abitò per millenni, fino alla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Poi, quando sulla spinta dell’opinione pubblica per il caso dei Sassi di Matera (definita la “vergogna d’Italia) tutte le abitazioni ricavate nelle Gravine furono man mano abbandonate a forza di provvedimenti coercitivi delle Autorità.
In Amastuola, tutte le lavorazioni di cantina, pressatura, affinamento in legno o acciaio e imbottigliamento, avvengono a pochissimi chilometri dalla masseria, nel comune di Massafra il cui nome, nomen omen, deriverebbe dal termine “mansafros” che in greco indicava una grotta abitata da eremiti.
Massafra e la sua Gravina.
La città è letteralmente tagliata in due parti nette e ben distinte dalle gravine, congiunte fra loro da due ponti.
Le gravine erano ancora abitate fino a pochi decenni fa e ospitavano dalla notte dei tempi luoghi di devozione dei culti pagani che poi vennero sostituiti dalla venerazione dei Santi cattolici e in particolare della Madonna.
Amastuola è una tipica masseria fortificata, per resistere soprattutto agli assalti dei pirati saraceni, costruita nel 1400 su ruderi già esistenti.
Un’attenta analisi ha permesso di datare i ruderi dal neolitico fino ai primi insediamenti magno greci.
I ruderi sotto il pavimento.
Alla fine delle campagne di scavi archeologici, si è deciso di lasciare comunque visibili le tracce dell’antico villaggio trovate sotto il pavimento d’ingresso della masseria, coprendoli con una lastra di vetro.
Amastuola si trova circa a metà strada tra le due zone Doc del Primitivo, quella di Gioia del Colle e quella di Manduria.
Anche i suoi vini esprimono caratteristiche che mediano i due territori, ossia un’acidità più spiccata rispetto alla media dei primitivi di Manduria, tendenzialmente come a Gioia del Colle, e un frutto leggermente più potente di quelli di Gioia del Colle, come accade per i vini di Manduria.
Sono arrivato ad Amastuola un lunedì di metà luglio, mentre il cielo sembrava impegnato a mettere in posa artistica le nuvole sopra la masseria, pronte per essere fotografate.
Mi ha accolto un viale sterrato con ai lati una lunghissima fila di grandi ulivi centenari che sembravano guardarti severi e ricordarti che lì si respira la Storia.
Arrivato alla fine del viale, all’apice della collina, all’ingresso della masseria mi attendeva il sorriso affabile di Giuseppe Sportelli, direttore commerciale della cantina.
Il vigneto in autunno.
Da qui ho potuto ammirare per la prima volta dal vivo il capolavoro di Caruncho, i vigneti che seguono sinuosi i rilievi della collina, creando una serie di onde che richiamano il mare e lo scorrere del tempo, uno spettacolo magnifico che non stanca mai lo sguardo.
Ci siamo accomodati nella corte interna della Masseria, camminando sui vetri che proteggono e mostrano i ruderi del villaggio neolitico sotto il pavimento.
Giuseppe mi ha raccontato dell’acquisizione della masseria nel 2003, la decisione di produrre vino abbracciando l’agricoltura biologica e l’incontro con Caruncho che ha dato tutt’altra dimensione al progetto iniziale di Amastuola.
Mentre parlava, si coglieva negli occhi l’enorme passione e la determinazione con la quale ha trasformato un’antica masseria abbandonata in un Resort di prestigio, cuore della produzione di vini ed olio eccellenti che hanno raccolto molti premi nel corso degli anni.
Enzo Patronelli, Giuseppe Sportelli e la barricaia.
Mi ha raccontato di aver abbracciato la filosofia del biologico da subito e di aver ottenuto la certificazione nel 2010, che “…insieme alla lotta integrata oggi sono fondamentali per rispettare l’ambiente e il territorio, le persone che vi abitano e il consumatore finale.”
La degustazione
Passiamo quindi, finalmente, alla degustazione.
Amastuola produce tre primitivi, e le diversità dei terreni e le differenti lavorazioni esprimono tre diverse interpretazioni del vitigno Re di Puglia.
Primitivo
Una parte affina 18 mesi in botti di rovere, il resto in acciaio a temperatura controllata.
In bocca il frutto è potente, caldo, avvolgente, fra prugna matura e ciliegia. Sapidità spiccata e spezie dolci nel finale bilanciano il tutto insieme a una piacevole acidità.
Primitivo Lamarossa
L’affinamento avviene per 6 mesi in botte di rovere e 6 mesi in cemento.
All’assaggio la ciliegia, tipica del Primitivo, qui è accompagnata da piccoli frutti rossi di bosco, tabacco fresco, pepe e piante aromatiche come il timo e il rosmarino.
Anche qui la salinità è evidente e ben integrata.
Primitivo Centosassi.
Primitivo Centosassi
Ed eccoci al capolavoro della Cantina.
La fermentazione è svolta in contenitori di rovere, seguita da una lunga macerazione, per poi completare l’affinamento riposando 12 mesi in botti di rovere.
Alla degustazione la ciliegia diventa sotto spirito, accompagnata da prugna matura e fiori appassiti, di viole e rose.
Elegante, suadente, i tannini sottili accarezzano il palato, il frutto potente e morbido fa gioire la gola, il sapido diventa marino, iodato, come un colpo di vento sulla cresta dell’onda.
E poi arrivano i sentori terziari, tabacco essiccato, cacao, caffè, spezie come cannella e pepe di Sichuan accompagnati dagli aromi della macchia mediterranea, ginepro, rosmarino, timo, pino marittimo e finisce con un lunghissimo balsamico, mentolato che invoglia, ingolosisce e invita a un nuovo sorso.
Aglianico
Notevole è anche l’Aglianico in purezza, invecchiato in botti grandi di rovere per 24 mesi.
Elegante e complesso, tannini robusti ben integrati con il frutto vigoroso, pepe nero e balsamico nel finale.
La sapidità marina, marchio riconoscitivo della cantina, è ben presente anche qui.
Dolce Vitae
La Malvasia Bianca di Candia dà origine a un vino dolce da uve stramature affinate 12 mesi in barrique, con note di agrumi, frutta secca e spezie dolci bilanciate benissimo da acidità e salinità, molto goloso, perfetto per il dessert.
Evoè!