di Cinzia Novara
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Maria Musso e Baldo Rivella |
Storia, passione e umiltà, Teobaldo e Maria Rivella sono un esempio per tutti i vignaioli di Langa, sia giovani che meno, e il loro Barbaresco Montestefano un paradigma di eleganza per questa denominazione.
Una lunga discesa dal bivio che conduce da Ovello a Barbaresco, più in basso una piccola villetta circondata da vigneti in pendenza.
Un cartello metallico minuscolo, di colore rosso, reca la scritta Serafino Rivella. Due signori sorridenti, marito e moglie, ci accolgono con ospitalità e cortesia. Sono Teobaldo Rivella e Maria Musso, ma potrebbero essere due “zii di campagna” per la loro gentilezza e il loro calore. Serafino Rivella è invece il nonno di Teobaldo, colui che tra i primi piantò e coltivò uva qui a Montestefano, piccolo cru di Barbaresco.
Scendiamo lo scivolo e siamo nella loro cantina, una stanza con pochi pallet di cartoni pronti alla spedizione, più in là un tavolo con alcuni bicchieri e due bottiglie, alle pareti immagini e ricordi appesi.
Nella stanza adiacente poche vasche in acciaio per la fermentazione del mosto ed una manciata di botti grandi di rovere dove affina il Barbaresco. Più in là un incantevole infernot dove riposano le bottiglie dei loro gioielli, in compagnia di grandi vini non solo di Langa ma anche di Francia e Germania.
Quando chiedo quanti vini e quante bottiglie produce, Teobaldo mi risponde con una particolare umiltà orgogliosa:
«Tutto quello che vede in questa cantina è tutto ciò che produciamo, noi siamo in due, io e mia moglie, e non possiamo fare di più, coltiviamo i nostri due ettari di vigna e questo ci basta.
Se fossimo in più persone potremmo certamente coltivare più ettari, ma la superficie che possediamo, essendo in così pochi, è più che sufficiente.
Coltivo i vigneti che mi ha lasciato mio padre; lui produceva e vendeva il vino sfuso agli altri, mio nonno Serafino faceva lo stesso prima di lui.
Ho deciso di fondare la mia azienda e vendere il mio vino prodotto con le uve raccolte intorno alla mia casa. Otteniamo poco più di 8500 bottiglie di Barbaresco proveniente interamente dal cru Montestefano e circa 3000 bottiglie di Dolcetto d’Alba; queste sono le nostre uniche tipologie di vino».
Gli chiedo di parlarmi un po’ della Sottozona o Menzione Geografica Aggiuntiva Montestefano:
“Montestefano è una piccola sottozona di Barbaresco, è una collinetta molto ripida di forma quasi circolare, l’esposizione è prevalentemente a sud. Sin ai tempi di mio nonno questa zona era coltivata a vite. Ad inizio Novecento solo nelle zone migliori erano presenti vigneti, in tutte le altre colline c’era il grano, non è come oggi che si coltiva uva dovunque e a perdita d’occhio.
Montestefano è uno dei cru storici di Barbaresco, come Pora, Montefico o Martinenga, in cui si coltiva nebbiolo per ottenere vini tra i più fini ed eleganti del territorio“.
Ho avuto il grande piacere di conoscere ed assaggiare i vostri vini alla manifestazione “Vini Veri” a Cerea. Quando gli chiedo se i loro vini possono dunque essere definiti naturali mi risponde:
“Cerchiamo di rispettare la natura, tra i nostri filari cresce l’erba, non utilizziamo pesticidi, erbicidi, antimuffa. Abbiamo paura di queste sostanze chimiche, un tempo ho visto gli effetti che questi prodotti hanno sui grappoli di nebbiolo: la buccia degli acini diventa color marrone scuro, molto spessa e dura, per settimane non viene attaccata dalle muffe. Tuttavia quest’uva non è per nulla invitante da mangiare, e, personalmente, non voglio produrre un vino con degli acini che neanche mangerei“.
Ci sediamo assieme al tavolo ad assaggiare le due bottiglie che avevano preparato. Il
Dolcetto d’Alba 2013 sorprende con un bellissimo color rosso rubino cupo, quasi inchiostro.
Il naso è declinato su tonalità dolci di frutti scuri surmaturi, si esalta la prugna, appare l’iris, proseguono le spezie dolci, il tutto termina con una caratteristica nota ammandorlata. In bocca impatta bene e colpisce per la freschezza. Vino molto interessante, tra i migliori della denominazione.
Il
Barbaresco Montestefano 2011 possiede una sorprendente eleganza intrecciata ad una struttura baroleggiante, regala dolci profumi d’incenso e cannella, poi caramelle alla violetta e petali secchi, frutti di bosco in confettura uniti al tabacco; fa capolino un tocco di cacao mescolato all’humus.
All’assaggio non tradisce le aspettative, mantiene questa leggiadria, il tannino è setoso, la stoffa innata, la lunghezza prodigiosa. Buono sin da ora, ha tutte le caratteristiche per durare nel tempo.
Nel frattempo arrivano degli amici che hanno accompagnato Teobaldo e Maria in un entusiasmante viaggio tra Mosella, Champagne e Borgogna. Sfogliamo tutti assieme l’album con le foto dei vigneti a picco sul fiume, la cantina di J.J. Prüm, le vigne della Champagne, Clos Vogeaut, bellissimi ed indelebili ricordi. Si chiacchiera tutti assieme di riesling e di pinot nero, si fa amicizia. È tardi, dobbiamo andare a cena, sarei stata in loro compagnia ancora per altre ore ad ascoltare ed imparare attraverso le loro parole.
Quella dei coniugi Rivella non è un’azienda che produce milioni di bottiglie dotata di una cantina moderna e scenografica, pronta ad ospitare centinaia di turisti, è semplicemente un piccolo paradiso per chiunque voglia conoscere persone umili e appassionate che producono meravigliosi vini. Vignerons d’antan, che continuano a preferire telefono, fax ed una calorosa stretta di mano ad internet e Facebook.
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