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C’è un termine di uso internazionale, Magic Box, che rende l’idea di qualcosa che racchiude meraviglie o riesce a creare di continuo cose eccezionali, uniche. Viene spesso usato per prodotti o servizi commerciali, qualcuno lo ha affibiato come nomignolo a un atleta, qualcun altro lo ha usato come nome d’arte.
A noi è venuto in mente provando i vini del territorio mantovano, un terroir poliedrico, che riesce a sfornare prodotti di tutte le tipologie, dalla bollicina al passito, dai bianchi internazionali ai rossi da invecchiamento, senza ovviamente dimenticare il principe mantovano, il Lambrusco. Il tutto, ça va sans dire, mantenendo un livello qualitativo di assoluto valore.
Per chi volesse approfondire le caratteristiche del territorio mantovano, abbiamo già avuto modo di scriverne in questo articolo, dove segnalammo anche alcune chicche. Come ogni buon magic box che si rispetti però, le sorprese non finiscono mai, e ve ne suggeriamo con piacere alcune qui di seguito:
Alto Mincio D’Alloro 2016, Tenuta Maddalena: quante volte vi sarà capitato di sentirvi dire che lo chardonnay potrebbe crescere anche sui binari della metropolitana? Vero, ma una cosa è l’attecchimento della pianta, tutt’altra è saperla coltivare e vinificare. Il rischio poi, per i vitigni internazionali, è di un appiattimento del prodotto, spesso simile ai suoi simili. Tenuta Maddalena, col suo D’Alloro, è riuscita nell’intento di creare un bianco sur lie (poi filtrato), che domina un equilibrio gustativo in tutte le sue componenti. L’assaggio è morbido e si dipana in note esotiche di mango, cocco e melone giallo, ma sorretto da sapidità e mineralità in linea con le morbidezze. Un vino insomma piacione ma non ciccione: è proprio un bel bere.
Bianco dei Bastià, Az. Bastià Cobelli: non si scandalizzino i puristi dell’autoctonìa se scriviamo di questo vino, perché ci è davvero piaciuto e merita di essere menzionato. La particolarità di questo vino sta nel vitigno, quel Tocai di cui, fuori dal Friuli, raramente abbiamo sentito nominare (eccezion fatta per l’Ungheria, ovviamente). Ma il calice ci ha raccontato anche di un naso duro, che in bocca si distende decisamente, tra profumi di camomilla, mandarino, platano e sbuffi speziati di zafferano. Il finale ammandorlato chiude un cerchio che sembra fatto…con un bicchiere.
Montevolpe Rosso 2014, Cantina Bertagna: Merlot, Cabernet Sauvignon e Corvina per questo rosso profondo e importante, affinato in barrique per circa 12 mesi. Il naso è una passeggiata in un bosco, tra pizzicate balsamiche, mora, mirtilli e un sottofondo erbaceo. Bella la morbidezza all’assaggio, con una tannicità a cui l’affinamento in bottiglia ha solo giovato. Noi lo consigliamo certamente su carni rosse, ma ci faremmo un pensierino anche se voleste concedervi un buon calice dopo una lunga giornata di lavoro.
Lambrusco Mantovano 1946, Cantina di Carpi e Sorbara: c’è chi li chiama vini glu glu, chi vini da cannuccia. Voi chiamateli come vi pare, l’importante è che in questa tipologia annoveriate il lambrusco, il vino italiano più bevuto al mondo (e un motivo dovrà pur esserci), ma se siete dei San Tommaso 2.0, e volete provare per credere, assaggiate senza esitazioni questo rosso della Cantina di Carpi e Sorbara: bellissimo nel suo colore porpora con unghia violacea, succoso al palato, con continui richiami alla prugna, al geranio e agli immancabili frutti rossi. Di buona acidità ed estrema bevibilità. Con l’anticiclone delle Azzorre (speriamo) alle porte, averne qualche bottiglia in cantina potrebbe quasi essere necessario…