Una delle difficoltà maggiori con i vini è il loro abbinamento ai cibi. I vini, è risaputo, non devono “disturbare” il piatto, né da questo essere “disturbati”.
Fatta questa premessa, non stupisce che il nostro più grande chef, lo stellato Gualtiero Marchesi, in passato abbia dichiarato che sui suoi piatti “sarebbe meglio bere acqua, il vino può turbarne l’equilibrio”.
Ormai il rischio che scelte sbagliate nella selezione dei vini rovinino un pranzo è fatto noto e non poi così raro. A chi non è mai capitato di fare abbinamenti improponibili? In fondo si tratta di un matrimonio fra cibo e bevanda e come tutti i matrimoni può fallire.
Ma nonostante le delusioni e i tradimenti, non si smette mai di tentare.
Su queste basi ho pensato di preparare un menù cinese (eh sì, avete capito bene, ho cucinato io e ho cucinato cinese!) da accompagnare ad una bottiglia di Perda Pintà, vendemmia 2014, un vino Barbagia IGT, prodotto in 4000 bottiglie dall’azienda vitivinicola Giuseppe Sedilesu a Mamoiada. Per intenderci la stessa azienda che produce il Mamuthone.
Ho scelto questo vino per sperimentare un abbinamento diverso da quelli più tradizionali che prevedono “cucina orientale e gewurztraminer, pinot bianco o riesling”, sapendo però che si tratta di un vino particolare.
Anzitutto si tratta di un’uva autoctona chiamata Granazza di Mamoiada, coltivata ad alberello antico per una resa di non oltre 40 ettolitri per ettaro.
Poi colpisce il colore ambrato non intenso, ma luminoso e vivace che svela il contatto con le bucce, l’uso della barrique e una vendemmia tardiva. Colpisce anche la consistenza nel flusso con archetti fitti e lacrime che scendono lente.
Al naso si immagina un’intensità invadente, invece è eleganza alla stato puro con una successione di sensazioni odorose in continuo crescendo: apre, infatti, con nocciole tostate, per soffermarsi su note di miele d’acacia, di scorze d’agrumi amari e di albicocche essiccate. E poi continua sfoggiando erbe aromatiche e paglia con uno sfondo di grafite e accenni di ossidazione che magicamente fanno venir fuori la Barbagia, quella terra brulla, cuore selvaggio e ribelle della Sardegna.
Il rito dell’assaggio – il primo piccolo sorso per avvinare la bocca, il secondo per degustare il vino, per farlo scorrere in bocca e cogliere tutte le sensazioni che sa trasmettere – rivela nuovamente un vino sorprendente: eccezionale sapidità con una freschezza più timida, presente, ma non protagonista, in equilibrio grazie ad una rotondità rassicurante. L’elevato grado alcolico (16,5 %) non risulta fastidioso grazie al corpo importante e la leggera sensazione tannica invita all’assaggio.
Ed ecco che sono pronti i piatti cinesi: l’immancabile riso cantonese, i noodles di fagioli con funghi e zenzero, il pollo con anacardi, porri e soia e la zuppa di noodles con verdure e maiale.
La morbidezza del vino supporta e sopporta la piccantezza dei noodles di fagioli in cui ho abbondato con il peperoncino e la buona persistenza aromatica compete con la speziatura del curry. La sapidità del sorso non contrasta con quella della soia e i molti sapori del riso danzano insieme a quelli del bicchiere. La struttura del vino, le sfumature tanniche e l’alcolicità completano il boccone goloso del pollo reso croccante dagli anacardi. Ogni sorso ricerca un nuovo boccone e il vino della Barbagia sorride al piatto cinese cucinato da un milanese curioso: questo bizzarro connubio non fa fuggire il commensale ignaro di essere cavia di un insolito esperimento. Anzi sembra gradire. Dunque, coraggio, sbizzarritevi, provate anche voi nuovi abbinamenti !