Il termine più ricorrente a Fornovo durante la rassegna Vini di Vignaioli è certamente rispetto: rispetto della pianta e del territorio, ma anche rispetto delle tradizioni, delle esperienze personali e della cultura di ognuno. Rispetto vuol dire riconoscere in altri – in questo caso nella Natura e nel territorio – una superiorità ed essere disposti ad astenersi da atti offensivi o lesivi.
E così i numerosi vignaioli presenti – ma lo stesso discorso vale anche per i tanti artigiani del cibo invitati alla rassegna – interpretano il loro ruolo: elaborare dei vini vivi e naturali, ossia privi di additivi aggiunti. E per fare questo l’impegno è tanto, la fatica molta di più, sia in vigna che in cantina, i rischi immensi, ma per fortuna le soddisfazioni non mancano.
L’orgoglio anzitutto di preservare vitigni autoctoni che rischiano di scomparire, di lasciare il lembo di terra su cui si è passati non peggiore di quello ereditato dai nostri padri e di raccontare le tradizioni ai figli che verranno.
Ma il gusto? Son buoni questi vini? Egoisticamente ci poniamo questa domanda pensando al nostro piacere e cerchiamo avidamente una risposta.
Il confronto con il passato, con i primi interpreti del vino naturale, con le bottiglie delle prime vendemmie e con quegli assaggi che ci facevano storcere il naso è d’obbligo. E si avverte subito – in molti anche se non in tutti – un grande miglioramento che non è svilimento di un progetto iniziale, ma un aver imparato a fare meglio. Senza aggiungere chimica o tradire le regole in cui si crede, ma semplicemente sapendo fare meglio. Forse non sempre le macerazioni debbono essere infinite, a volte la scelta di vendemmiare prima garantisce una migliore acidità, forse anche le piante si sono adattate a quel terreno, le radici affondano nel profondo, oppure la sosta in bottiglia ha trovato il giusto tempo. Passi avanti, dunque.
Ma anche il nostro palato si è abituato: è paradossale scriverlo, perché questi sono i vini della tradizione, quelli classici eppure passano come vini alternativi e quelli che si producono con tecniche nuove sono convenzionali! Certo ancora in molti non li capiranno, alcuni abbiamo faticato anche noi e qualche faccia l’abbiamo storta, ma certo è che questi vini vivi e naturali possono piacere.
Ma veniamo agli assaggi – ai fatti, insomma – che non si possono non fare.
Di Nino Barraco mi limito a rimandare a quanto appena scritto su paroledivino.com: i vini sono gli stessi, il godimento pure, manca solo il mare!
L’assaggio dei vini dell’azienda La Stoppa in Rivergaro, Val Trebbiola, provincia di Piacenza avvicinano al mondo dei vini naturali senza traumi. L’azienda ha come obiettivo di produrre “vini moderni senza però tradire le memorie e le espressioni del territorio, che qui si manifestano con sfumature e caratteri unici e propri”. Non sono estremisti naturalisti, ma cercano una via pacifica. E riescono con successo proponendo un’ampia scelta di rossi corposi, dal ventaglio olfattivo intrigante giocato sulle note di frutta rossa matura, di rose rosse con rimandi a spezie piccanti, pepe e chiodi di garofano. La Macchiona 2011, blend di barbera e bonarda, eredita il nome da una casa colonica posta in mezzo ai vigneti delle varietà rosse più tradizionali dei Colli Piacentini e fedelmente testimonia i vini di questa zona. Al sorso è rotondo e suadente, sorretto da una precisa freschezza, è persistente.
Eleganti sono anche i vini di Stefano Amerighi, prodotti nei pochi ettari di terreno a Poggiobello di Farneta, tra Cortona e Montepulciano, quasi completamente occupati da Syrah e da poco Sangiovese, coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biodinamica. Vini che seguono l’andamento delle stagioni, senza controllo delle temperature, senza aggiunte di solforosa o di lieviti, pigiati all’antica con i piedi, affinati in legno, cemento o anche ceramica per mantenere meglio le caratteristiche del vitigno e del territorio.
Vini giustamente di corpo i Syrah (Syrah 2014 e Altogrado Syrah 2013) con naso orientato alla frutta matura, alle prugne susine, ma anche ai piccoli frutti rossi, con sbuffi di spezie pungenti e note floreali di viola. I tannini ci sono, fitti ed integrati al frutto, e testimoniano un futuro ancora lungo.
Sempre in Toscana due vini di due diverse e già note aziende ci meravigliano: il Pian dei Sorbi di Terre a Mano (rosso toscano vendemmia tardiva annata 2011) e Daino Bianco 2011 della Fattoria Castellina.
Il primo è un passito da uve sangiovese prodotto in pochissime bottiglie ed appassionatamente raccontato dalla stessa produttrice Rossella Bencini Tesi. È un’esplosione di profumi, di ciliegie mature, di rabarbaro, di sottobosco, di note selvatiche ma eleganti. In bocca è avvolgente e incapace di annoiare grazie alla notevole freschezza. Finale lunghissimo.
Il Daino Bianco (il nome è un omaggio ai daini che popolavano il terreno su cui sorge oggi il vigneto ben
protetto dagli antichi muretti in pietra) è un merlot fatto proprio bene. Naso intenso in cui si rincorrono frutti di bosco, ribes, cassis, marmellata di uvaspina, note di resina, di pietra focaia e di animale selvatico, delicati ed eleganti. In bocca tannini setosi riempiono la bocca senza compromettere l’equilibrio e la godibilità. Da abbinare ad un bel piatto di carne alla brace.
A far capire come la cultura e la tradizione siano parte dei vini che vengono prodotti c’è il Badalisc di Ligabue, produttore naturale della Valcamonica. Il Badalisc (la figura che vediamo sui tappi di tutte le bottiglie di Ligabue) è una figura mitologica della Valle Camonica: secondo la tradizione vive nei boschi e ogni anno viene catturato nel periodo dell’epifania dai giovani e portato in paese. Qui rivela le notizie goliardiche e scabrose della comunità. Poi gli viene offerta la cena e i vini e così può tornare nei boschi. Noi abbiamo assaggiato il Badalisc di Ligabue, un merlot in purezza, vigoroso ed energico in cui emerge fiera la tipicità del frutto, prima al naso poi in bocca.
Di storie e di vino potremmo dire ancora molto perché ogni produttore ci intrattiene con passione, voglia di trasmettere le sue esperienze e con il desiderio di condividere i suoi vini, ma pare giusto rispondere alla domanda iniziale – ma il gusto? Son buoni questi vini? – e concludere con le parole degli stessi vignaioli: “non pretendiamo di ottenere il gusto migliore, ma semplicemente il nostro, per vini vivi e digeribili la cui produzione non è soggetta alla moda del momento ma solo alla natura“.