Lo sguardo è quello di chi sa cosa vuole, e sa come ottenerlo. E dopo averlo conosciuto, si capisce che la prima impressione è quella giusta. Parliamo di Roberto Anesi, miglior sommelier d’Italia AIS, premiato a Taormina lo scorso 29 ottobre, al termine di una gara davvero dura.

Conosciamo Roberto quanto basta per poter dire che – indipendentemente dal premio ricevuto – incarna lo stereotipo del sommelier: serio, competente, professionale. E soprattutto appassionato. Dopotutto, è un campione. Un vincente.

Rientra pienamente tra le nostre #personedivino.

Abbiamo fatto una chiacchierata con lui, parlando delle sue origini, dell’amore per il vino, delle doti di un buon sommelier, di pinot nero e di… Shakespeare.

Cos’è il vino per te e come ti sei avvicinato al suo mondo? Perché hai scelto AIS?

Sono nato in una famiglia di albergatori e lì, anche senza volerlo, ho mosso i miei primi passi ancora da ragazzino aiutando il papà a spinare delle birre quasi per gioco. Il vino mi ha sempre affascinato, forse per i nomi altisonanti di certe bottiglie, per le loro forme e le loro etichette o forse perché vedevo attorno al consumo del vino una sorta di atmosfera misteriosa ed affascinante. Ho così colto al volo la possibilità di frequentare il corso AIS di primo livello assieme a quattro amici andando fino a Trento per partecipare alle lezioni. La scelta di AIS è stata ai tempi casuale ma oggi posso dire che la scelta si è rivelata la migliore in assoluto che io potessi fare.

 

Nel 2008 hai vinto il premio come miglior sommelier trentino. Qual è stata la difficoltà maggiore allora e quale quella per vincere il titolo italiano, dopo nove anni? 

Beh, non posso nemmeno lontanamente paragonare le due esperienze. Nella prima ero al mio primo concorso in assoluto, ero mosso da grande passione ma la mia esperienza era limitata. Quello di Taormina, invece, è stata una sorta di riconoscimento che ho cercato per suggellare, in qualche modo, due decenni di esperienza e di esperienze. Sono passato anche attraverso altri due concorsi vinti come il Master dei vini dolci e passiti ed il Grand Prix del Sagrantino di Montefalco, entrambi vinti nel 2010. La difficoltà maggiore quest’anno è stata quella di rimettersi in gioco sapendo benissimo di avere solo da perdere.

Ho però deciso di assumermi le mie responsabilità e senza fare proclami di nessun genere ho iniziato a studiare da solo già nell’inverno passato tra un servizio e l’altro ma con grande determinazione e sacrificio, doti che credo di aver sempre avuto ma che un episodio non felice di qualche anno fa (una caduta in bicicletta che mi ha fatto passare attraverso due anni molto duri) ha ulteriormente rafforzato in me.

 

Roberto Anesi durante la premiazione

Come coniughi vino e cibo nel tuo ristorante El Pael? Con quale filosofia proponi i vini ai tuoi clienti?

Servo i tavoli dei miei Ospiti e consiglio loro il vino con un solo credo, quello di cercare di farli stare bene almeno quanto vorrei stare bene io se mi trovassi al posto loro. Ovviamente guardo anche di non appesantire eccessivamente il peso dei loro conti cercando sempre la miglior qualità al prezzo più corretto a seconda delle loro richieste e trasmettendo loro le storie di chi ha fatto quel vino, la bellezza dei territori viticoli del mondo ma soprattutto della mia regione.

 

Quali sono le doti che un sommelier deve necessariamente avere? Hai un aneddoto divertente, magari su un cliente che in sala ha messo a dura prova la tua pazienza?

Un sommelier deve essere tanto curioso, scrupoloso e pignolo nella sua preparazione quanto flessibile, emotivo e empatico durante il servizio in sala. Ovviamente in 25 anni di servizio, qualche decina di migliaia di chilometri macinati tra i tavoli ed ore che non si contano di episodi potrei averne così tanti da scrivere un libro, mi pento forse di non averli segnati tutti subito altrimenti l’avrei già fatto. Tra tutti i ricordi voglio invece raccontarvi di un episodio particolarmente piacevole. Una coppiettina giovanissima, forse appena ventenne, che tanti anni fa arrivò a El Paèl chiedendo proprio di me per poter essere consigliata su un vino da abbinare alla cena salvo poi specificare che loro il vino non l’avevano praticamente mai bevuto. Scelsi un vino semplice ma diretto, facile ed anche economico pensando che quella doveva essere per loro una sorta di iniziazione e sentendone la responsabilità di quello che avrei potuto significare per loro se il vino non fosse stato di gradimento. Prima dell’arrivo dell’antipasto la ragazza mi chiama e mi dice “non abbiamo nemmeno iniziato a mangiare ma qui ci sembra di essere davvero a casa”. Un complimento inaspettato e profondo da una coppia così giovane che terrò sempre dentro.

 

Sappiamo che hai un debole per il pinot nero. Parlaci di un pinot che non dovrebbe mai mancare nella cantina di un appassionato.

Qui mi metti in difficoltà perché potremmo parlare per ore di quello che penso su questo nobile vitigno al quale mi sono avvicinato lentamente, con rispetto e con la sensazione che mai riuscirò a domare il cavallo di razza che in lui si nasconde. Un vino camaleontico che come pochi sa trasmettere il territorio di provenienza ed anche la saggezza della mano che lo vinifica. Non posso fare un nome, un’etichetta e mi sembra di essere banale se dico che nella cantina di un appassionato non deve mai mancare un Pinot Nero di Borgogna in quanto questa è la culla natìa di questa varietà e pertanto sono sicuro che tutti ne hanno almeno una cassa. Forse adesso è ora di allargare gli orizzonti e quindi di assaggiare i Pinot Neri di zone con il Baden Würtenberg in Germania, lo Jura in Francia, Carneros in California o Central Otago in Nuova Zelanda. Ovviamente dopo aver fatto l’esperienza sul campo in Trentino Alto Adige alla scoperta delle espressioni più felici d’Italia.

 

Sei un sommelier professionista dal 2006 ma conosci il mondo del vino anche da prima: hai visto cambiare i gusti, il mercato e… i vini. Dove stiamo andando, secondo te? Quali vini andranno per la maggiore nei prossimi anni e quali, invece, faranno fatica a imporsi?

I vini che si stanno imponendo sul mercato sono quelli che raccontano in maniera chiara ed imprescindibile il territorio dal quale provengono. Non si spiegherebbero altrimenti la crescita che in questi anni hanno avuto territori come l’Etna, la Costiera Amalfitana, la zona di Soave o il Rossese di Dolceacqua tanto per citarne quattro a caso. Lo stesso territorio del Barolo, blasonato e rinomato fin dal secolo precedente, ha saputo trarre nuova linfa da questa situazione di esaltazione delle condizioni pedoclimatiche di vigne anche piccolissime. Al contrario stanno sparendo dal mercato i vini che non hanno niente da raccontare, fatti solo per piacere grazie ad un uso del legno che dona solo volume al palato ma che non sa darne altrettanto alla voce della zona dalla quale questo vino proviene.

 

Da più parti si avverte l’escalation dei cosiddetti vini naturali, anche nei numeri sul mercato: qual è la tua idea in proposito? Si tratta di una moda passeggera o qualcosa sta realmente cambiando?

Personalmente la vivo con distacco e cerco di non farmi risucchiare nel credo del “buono perché è naturale” a ogni costo. Un vino deve essere buono prima di tutto, se poi è naturale è meglio ancora ma questo non è per me un valido motivo per creare liste dei vini fatti di soli vini naturali. Mi auguro che quella dell’attenzione a tutte le fasi produttive diventi sempre più una sorte credo produttivo a prescindere da tutti fattori di cui sopra.

 

Come giudichi la tua esperienza da blogger? E, più in generale, qual è secondo il tuo parere l’apporto che i blog possono dare alla comunicazione del vino?

A scanso di equivoci non mi sono mai definito un blogger. Io sono sempre stato un sommelier che compatibilmente con il tempo a disposizione ha scritto qualcosa sulle sue esperienze in una sorta di diario. Sinceramente faccio fatica a gestire il tempo e soprattutto negli ultimi periodi ho scritto poco. Nell’anno in corso quasi niente visto che ho dedicato tutto il tempo libero allo studio.

 

Se dovessi scegliere un paese straniero per un’esperienza lavorativa quale sceglieresti? E perché?

Troppo facile rispondere: Londra. Città che è sempre stata il crocevia mondiale del commercio del vino e che ho avuto modo di vedere dall’interno durante i seminari che mi attendevano nel mio percorso al Master of Wine Institute. Ma queste esperienze si fanno da ragazzi quando si è liberi da vincoli familiari e di lavoro autonomo.

 

Il bello arriva adesso: cosa comporta vivere un anno da miglior sommelier? E che progetti hai per l’immediato futuro? 

Sinceramente non lo so. Ho scambiato qualche telefonata con qualche Campione Italiano degli anni recenti per capire a cosa posso andare incontro. Sto cercando di consultarmi con qualche persona di fiducia per creare qualcosa che poi possa lasciare un segno anche dopo l’anno che trascorrerò con questo titolo addosso, ma ho soprattutto la speranza che con la primavera arrivino delle piccole possibilità per fare nuove esperienze. Di sicuro nel breve termine mi aspetto di potermi dedicare agli Ospiti del ristorante, poi vediamo cosa mi riserverà il cammino.

 

E, infine, confessaci: qual è il vino che vorresti bere e non hai ancora potuto provare?

Eh, ce ne sono tantissimi ma se avessi il cavatappi in mano e la scelta libera andrei sui miti della Francia che conta: Romanée Conti, La Tache, oppure qualsiasi premier cru classe di Bordeaux con almeno 50 anni di affinamento perché li metto al pari di un libro di Kafka, Shakespeare o Dostoevskij, imprescindibili per chi è appassionato di letteratura.