Il futuro delle guide a tema vinicolo è decisamente incerto. Come per molti altri prodotti editoriali, l’avvento di internet ha rivoluzionato l’accesso alla conoscenza, obbligando gli editori a trovare nuovi argomenti per sollecitare la curiosità del lettore.
Personalmente ritengo – e lo dico con convinzione già da diverso tempo – che tra qualche anno le guide non esisteranno più, o almeno non nella accezione con cui le conosciamo oggi. Le acrobazie lessicali con le quali si presentano i volumi odierni non sono sufficienti a convincere gli appassionati, che possono contare su altri strumenti altrettanto validi, più pratici e spesso meno dispendiosi.
La crisi delle guide passa soprattutto attraverso due criticità: il superamento dello strumento cartaceo e la diffusa sensazione dei lettori – intrisa da una buona dose di qualunquismo presente ahinoi anche nel mondo del vino – di non avere a che fare con una valutazione sempre oggettiva dei vini presentati. Quest’ultima impressione è senz’altro figlia delle numerose guide che si possono trovare oggi in commercio: almeno quindici. Troppe.
Cosa può salvare, allora, una guida e garantirle un futuro? Facile: la bontà del criterio di valutazione, il rafforzamento del prestigio e della professionalità dei redattori e il passaggio in tutto o in parte alla consultazione on line. Alcune guide hanno rinunciato all’edizione cartacea ed escono solo in formato digitale, con l’indubbio vantaggio di ridurre notevolmente i costi, senza contare la possibilità di poter aggiornare in tempo reale i dati oggettivi delle aziende citate (indirizzo, numero di telefono e mail, per esempio) e integrare lo strumento con alcuni tool davvero utili (primo tra tutti la geolocalizzazione).
La Guida Essenziale ai Vini d’Italia
Riprendo questi concetti dopo aver partecipato al banco di degustazione svoltosi domenica scorsa a Milano, in occasione della presentazione dell’edizione 2018 della Guida Essenziale ai Vini d’Italia by DoctorWine di Daniele Cernilli.
La Guida non ha intenti enciclopedici, tutt’altro: intende dare al lettore uno spaccato di qualità sulla produzione italiana, con una selezione accurata fortemente selettiva. Daniele Cernilli non ha bisogno di presentazioni e il suo team non è da meno: da Dario Cappelloni e Riccardo Viscardi a Chiara Giovoni e Alessandra Ruggi, passando da Adua Villa, Fabrizio Carrera, Andrea Gori, Fiorenzo Sartore, Marco Manzoli… Mi scuso se non li cito tutti.
Le valutazioni per la compilazione della Guida sono di tre livelli: uno aziendale, con un punteggio che va da zero a tre stelle e uno qualitativo sul singolo vino, espresso in centesimi. Il terzo criterio ci sta molto a cuore, pone l’accento sul rapporto qualità prezzo, espresso con il simbolo del pollice alzato.
Le cantine selezionate in questa edizione sono state 1069, per oltre 2700 vini recensiti tra cui 298 “Faccini DoctorWine”, quelli per i quali Daniele Cernilli… ci mette la faccia: sono i vini che hanno raggiunto e superato i 95/100.
Una delle caratteristiche che più mi piace della Guida è che per le degustazioni la redazione non chiede l’invio di campioni alle aziende, se non in casi eccezionali. La valutazione dei vini avviene in occasione di eventi pubblici o degustazioni organizzate dai Consorzi. Nei pochi casi in cui sono stati richiesti dei campioni alle aziende è stato chiesto di fornire soltanto una bottiglia.
Il banco di assaggio
L’Hotel Principe di Savoia a Milano è una bella location: ampia ed elegante, si presta benissimo a eventi di questa portata. L’affluenza è stata notevole: molte facce conosciute e moltissimi winelovers.
Tra i banchi le eccellenze italiane, protagoniste della Guida. Abbiamo provato alcune cose conosciute e altre inedite: tra i “calici noti” menzione speciale per il Brunello 2012 Poggio di Sotto. L’anteprima del Brunello in primavera aveva già fatto capire che sarebbe stata un’ottima annata e l’assaggio del Poggio di Sotto lo ha confermato: naso intenso e vivace, con note fruttate molto ben definite e invitanti. Sorso già sorprendentemente armonico, privo di spigoli e dotato di una carica energetica impressionante.
Tra le novità mi piace citare il Tyrol 2016 di Cantina Merano: quando lo si tratta con sapienza il pinot bianco è un vitigno che può emozionare. Non sottovalutatelo! Nel Tyrol ci sono tutte le caratteristiche tipiche varietali (colore poco intenso, naso floreale, una percepibile morbidezza) coniugate con abilità e indirizzate al raggiungimento di un gradevole equilibrio. È un vino di manico, ottenuto con un impiego ponderato del legno e dotato anche di buone potenzialità di invecchiamento.
Concludiamo le nostre citazioni con una vecchia conoscenza: Querciabella, un nome che già da qualche tempo rappresenta un riferimento per la viticoltura di qualità abbinata al rispetto per l’ambiente. L’azienda lavora in biodinamica già dal 2000, quando a molti nel mondo del vino scappava un sorriso a sentirne parlare. Oggi il Batàr è nell’olimpo dei vini bianchi italiani: blend di chardonnay e pinot bianco, ho provato la versione 2013. È complesso, riconoscibile, dotato di personalità affilata ed è tra i bianchi più longevi che vi possa capitare tra le mani.
Il Chianti Classico Riserva 2015 offre un tipico ventaglio odoroso di violetta e ciliegia e anticipa un sorso immediato e goloso. L’annata 2015 in Chianti è stata calda e spesso ha dato vini un po’ pigri e non sufficientemente acidi, specie se provenienti da vigneti impiantati sotto i trecento metri sul livello del mare. La Riserva 2015 di Querciabella, invece, ha nerbo e gode di ottimo equilibrio, beneficiando certamente dell’altitudine dei vigneti dai quali proviene(fino a 550 metri). Il finale è tutto per Camartina 2013, blend di cabernet sauvignon e sangiovese. Già al naso mostra il rigore dei grandi vini, con evoluzione dinamica degli aromi di frutta nera e sottobosco, felce e vaniglia. Il gusto è appagante: il sorso si dispone con grazia in bocca, impressionandolo a lungo con precisi ritorni fruttati.