di Stefano Quatrini – Sommelier e Degustatore Ufficiale AIS
Quando ti prepari per l’esame da sommelier ti imbatti in Nicolas Joly. Il libro di testo lo liquida in poche righe:
“Savenniers è anche la culla di alcuni tra i più noti teorici della viticoltura biodinamica francese, come Nicolas Joly che segue strettamente la teoria steineriana, conduce i propri vigneti secondo le fasi lunari, utilizza i cavalli come forza/lavoro e tratta il terreno solo con concime naturale“.
Leggi queste parole e subito te ne dimentichi impegnato a ricordare i vitigni del Sud, le zone di Bordeaux e della Borgogna, le fasi della preparazione dello champagne.
Poi ti capita di assaggiare un suo vino e come per magia di ritorna tutto in mente, fai qualche ricerca e scopri che di Nicolas Joly e della biodinamica si possono scrivere libri interi.
La Valle della Loira è ingiustamente meno nota delle zone dei grandi vini francesi eppure anche qui si producono grandi vini. Tra cui quella della denominazione Savennières, una piccola zona (una decina di chilometri) lungo il corso della Loira in corrispondenza di due località, La Possonière e Bouchemaine. Tra questi i più noti sono proprio i vini di Nicolas Joly.
Qui è il regno dello chenin blanc, noto anche come Pineau de la Loire, in versione dolce oppure secca. Un vitigno sottovalutato eppure così interessante per cui, se fatto bene, può offrire grandi soddisfazioni.
Due sono i cru indimenticabili: Roche aux Moines (di cui tre ettari di Clos de la Bergerie, all’interno della denominazione Roche aux Moines di Joly) e Coulèe de Serrant (da un solo vigneto di 7 ettari).
Ancora più economico l’altro Savennières tout court, che è commercializzato sotto l’etichetta Les Vieux Clos.
Recentemente ne ho bevuto una bottiglia del 2012. Un vino che ti fa capire cosa vuol dire “vino da meditazione”, un vino che nel bicchiere cambia continuamente, un vino che ti lascia senza parole. Chenin blanc in purezza.
Giallo dorato, leggermente opaco. Naso elegante di albicocca disidratata, fico, miele millefiori, mele cotte, fiori gialli, acacia e camomilla fra tutti, e poi spezie dolci e note tostate. In bocca è pieno, rotondo, “riempie la bocca”.
È morbido, fresco e sapido. È persistente ed equilibrato. È consistente. Poi lo risenti al naso ed è cambiato: viene fuori la nota minerale e i sentori erbacei che prima erano oscurati degli altri profumi. In legno trascorre 6/8 mesi e i profumi terziari si avvertono, ma ben integrati con quelli del frutto colto nella sua migliore maturità.
Un vino che non puoi abbinare a nulla, troppo “prima donna”, troppo egoista. Un vino che bevi piano piano mentre vedi la trilogia di Kieslowski, Centochiodi di Ermanno Olmi e La Notte di Michelangelo Antonioni.
Tutti di fila, in una notte di pioggia.