È sabato sera, mi travesto da cantiniere per mettere un po’ di ordine tra bottiglie in cantina, ma mento consapevolmente a me stesso perché in realtà voglio solo scegliere la vittima sacrificale da portare su in casa. L’occhio cade quasi subito su un’etichetta dall’accostamento cromatico di un televisore anni ’60, ma è quel nome a ipnotizzarmi e a prendere il controllo delle mie mani, sono quelle quattro lettere a indicarmi la via:
G A J A.
Le Roi.
Per un attimo penso alla mia cena non proprio gourmet: una focaccia, del Crudo di Parma e una caponata homemade. Ma sì, il Magari sarà pure un vino nobile ma non penso si offenderà se non lo accompagniamo a una fiorentina o a un tartufo.
In effetti il vino non ha sporto lamentele, è rimasto lì nella sua bordolese toscanità ad attendere il suo momento, ma al primo assaggio ho avvertito subito la sua autorità: ha rubato la scena, diventando protagonista assoluto della tavola. Non per nulla è figlio del genio di Angelo Gaja, quello che al Vinitaly ha uno stand bello grosso ma non si sogna di far provare neanche una goccia delle sue perle ai visitatori assetati. Quello che è talmente Bio da aver installato un super fitodepuratore per il recupero delle acque usate in azienda e uffici, che ha ristrutturato le vecchie cascine nei vari possedimenti per farne le dimore dei dipendenti. Quello che uscì dal disciplinare del Barbaresco perché non gli andava di seguire “le istruzioni” di qualcuno che non la pensava come lui. Quello che non leggerà mai queste righe, perché lui è Le Roi, e non ha tempo per i comuni mortali. Ma lo si può, anzi lo si deve perdonare, perché Gaja non fa solo vino, fa coscienza, fa nobiltà, ti segna e ti INsegna a guardare più in alto, oltre quella media sufficienza nella quale un po’ tutti col tempo ci adagiamo.
La prima sensazione che suscita il Magari 2009 è di amaro pentimento, ho aperto troppo presto una bottiglia che ha ancora una vita davanti, avrebbe potuto essere consumata tranquillamente negli anni ’20.
La degustazione… coi vini di Angelo Gaja è quasi superflua, avendo il solo obbligo di godere della loro infinita immensità, ma i miei appunti parlano di un colore rubino con lieve unghia granata, tannino ancora ben percepibile ma perfettamente integrato nella potenza espressiva dei profumi. Naso e bocca di fave di cacao, tamarindo, viola passita, chinotto e un oceano di vivissima mineralità.
È quello che io amo definire un “vino al quadrato” perché ha dei profumi talmente vivi, netti e potenti da porre l’asticella sensoriale a un livello superiore a quello a cui di solito siamo abituati.
Se volete investire una quarantina di euro questo è un vino che non vi farà pentire dei soldi spesi.
Se avete la pazienza di Giobbe, aspettatelo almeno dieci anni.
Se non ce l’avete, bevetelo la sera stessa dell’acquisto, il godimento sarà ugualmente garantito.
Se cercate tutte e tre queste cose prendete ad occhi chiusi il Magari di Ca’ Marcanda.
Garantisce Le Roi.