Non ci eravamo mai stati, forse l’ultima grande rassegna vitivinicola nazionale alla quale non siamo stati almeno una volta. Merano Wine Festival ci incuriosiva, ci affascinava e alla fine ci ha avuto. Personalmente mi sono imbattuto in una realtà nuova, molto diversa da quello che mi aspettavo. Alla organizzazione tutta mitteleuropea fatta di personale di servizio impeccabile e bodyguard di ogni nazionalità intenti a controllare il timbro ed il pass con estremo rigore, ha fatto da contraltare una densità di popolazione ben oltre il limite da me sopportabile. 

A dispetto del prezzo del biglietto di ingresso (tutt’altro che cheap) il MWF è un evento consumer, non un b2b e chi si aspetta(va) spazi umani di conversazione, confronti pacati con i produttori, degustazioni senza ressa vada altrove. È il prezzo da pagare per l’eccellenza, perché al MWF c’è l’eccellenza: nel vino,nel cibo, nella location. Le cose che si bevono qui non si bevono in nessun altro evento che io conosca. 
Forse nemmeno sullo yacht di Dan Bilzerian si beve così bene. 
Location & logistica

Merano è un gioiello, una pietra incastonata tra quattro valli. Nulla è fuori posto: un piccolo paradiso come molti ce ne sono da queste parti. 
La Kurhaus è una ex casa di cura inaugurata nel 1874. Lo stile liberty, le ampie sale, l’illuminazione sfarzosa la rendono una sede unica nel suo genere. 
La cauzione per il calice è di 10 euro, va bene. Ma fornire una bella tasca porta calice sarebbe cosa buona, specie se consideri che con tanta gente intorno le possibilità di vedere il tuo strumento di degustazione in frantumi aumentano notevolmente. A proposito: non sarebbe meglio prevedere per l’anno prossimo un paio d’ore riservate alla stampa e agli operatori?
Ambiente

Avete presente una grande festa? C’è un vasto campionario umano, molto più vario che al Vinitaly. Tardone, ricconi, palestrati, plastificati e plastificate, tutti insieme appassionatamente, confusi tra i volti del vino che contano. Distributori, agenti, ristoratori, noti appassionati, sommelier arci noti e soprattutto grandi produttori. Se vuoi incontrarne qualcuno che non hai mai visto a Merano puoi farlo.
La Gourmet Arena 
L’area che ha salvato parecchie anime perse. Ho assaggiato poco ma quello che ho provato non era mai comune: menzione speciale per Koppert Cress, che propone una selezione di crescioni e germogli davvero strabilianti. La piccola degustazione vegetale che abbiamo fatto è conclusa con frammenti di Sechuan Buttons. Non si tratta di bacche di pepe Sechuan ma un fiore commestibile davvero straordinario, usato come infuso nei cocktail e negli stuzzichini. Non ha un odore particolare; appena ingerito sembra insapore ma non è così nel giro di pochi secondi si percepisce una sensazione frizzante sulla punta della lingua che gradualmente si propaga in tutto il cavo orale. Un effetto a catena anestetizzate investe le guance e si comincia a produrre in quantità saliva. Non si scherza con questo piccolo fiorellino: ne ho provato un piccolo frammento e vi garantisco che ne conservato un piacevole effetto iodato, balsamico, mentolato per parecchi minuti.

I vini invecchiati
Ne abbiamo fatti diversi, alcuni molto buoni, altri un po’ meno: la qualità media dei vini provati, comunque, è stata altissima. Lunedì 7 i produttori hanno stappato vecchie annate secondo un preciso calendario orario, che consentiva un piacevole, quasi ludico tour. Roba da leccarsi i baffi.

Pedrotti Extra Brut Riserva Speciale 1988

Ventisette anni e dico ventisette anni sui lieviti. Chardonnay e pinot nero. Più vino che spumante, certo, ma effervescenza e acidità ancora vivaci. Bouquet timido, all’inizio: frutti tropicali, pan brioche, mallo di noce emergono poco a poco.

La carbonica è davvero molto delicata, quasi cremosa ma l’intensità del sorso lo fa quasi passare in secondo piano. Non somiglia per nulla a uno spumante classico, e l’eccezionalità è manifesta  per la vana ricerca di qualcosa cui confrontarlo mentre lo si beve. 

Querciabella Batàr 2002

Probabilmente il pinot bianco più ambizioso del pianeta” sentenziava Jancis Robinson nel 2004. Alla vista non denuncia il passare del tempo, brillante come una lampadina, e se all’olfatto denuncia tracce di maturità grazie ai sentori di frutta secca e sbuffi eterei, in bocca sembra un ragazzino. Morbidezza e acidità a braccetto per tutto il sorso, ispirato da una sapidità leggera ma molto gradevole.  

Gli champagne

Il MWF vero e proprio era concluso ma martedì 8 c’è stata un’appendice dedicata allo champagne. Tutta la Kursaal era dedicata alle bollicine francesi con numerosi importatori: abbiamo degustato con estremo piacere un Brut Vintage 2005 di Charles Heidsieck, 60% di pinot noir e 40% di chardonnay. 

La Maison francese non è fra quelle che sfornano millesimati uno dopo l’altro: l’annata 2005 non è stata molto favorevole da un punto di vista climatico e infatti parecchie aziende hanno deciso di non millesimare. Le uve di Charles Heidsieck invece hanno raggiunto una perfetta maturazione e la prova – come spesso avviene – è nel calice: giallo antico di rara bellezza, naso intrigante, dinamico e fine dapprima fruttato ed in seguito su note di pasticceria. Al palato è una carezza vellutata, supportata da un volume carbonico davvero ben integrato.