Pronti per affrontare il fine settimana? Anche questo venerdì Appunti di degustazione ha raccolto le notizie più interessanti e divertenti, per rimanere aggiornati in ambito food & wine.
Eccole le nostre AppuntiNews!
La battaglia di Prosecco
I sommelier e gli appassionati un po’ più esperti se lo ricorderanno: l’uva del prosecco si chiamava… prosecco, ed era così dal 1969.

Nel 2009 il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia ebbe una pensata al limite del geniale: memore probabilmente della battaglia legale persa dall’Italia per il Tocai fissò per decreto il cambio del nome da prosecco a glera e assicurò l’associazione del nome “prosecco” a quella di un luogo fisico: una frazione del Comune di Trieste, sull’altopiano carsico. Con questo escamotage Zaia obbligò l’Unione Europea a riconoscere nel nome prosecco il link unico e indissociabile che escludeva tutti coloro che non facevano parte del disciplinare.

Tutela del Made in Italy? Non proprio, se pensiamo soprattutto al fatto che Prosecco (frazione) è stata tirata dentro nell’area geografica di produzione e con essa anche tutta una serie di zone non esattamente vocate alla produzione del celebre vino frizzante. Anzi a Prosecco di vino frizzante non se n’è fatto mai.

La questione, riportata sotto la luce dei riflettori da Milena GabanelliBernardo Iovene nella puntata di Report di lunedì scorso, diventa scottante appena si mette a fuoco il perché di tutto ciò: il Prosecco è il vino italiano più venduto nel mondo ed ha un fatturato di due miliardi di euro. Avete capito bene: due miliardi.

Gli abitanti di Prosecco già nel 2009 in cambio dell’uso del nome conteso chiesero ed ottennero la promessa di poter usufruire di finanziamenti per la bonifica del costone carsico, allo scopo di impiantare vigneti.

Ma quella promessa è rimasta tale e così Franc Fabec, presidente dell’Associazione agricoltori-Kmecka Zveza che raggruppa la maggior parte degli agricoltori del Carso triestino, non le manda a dire: “Siamo molto scontenti e siamo stanchi di aspettare. Che siano royalties, diritti di copyright, o qualunque altra cosa, siamo convinti che è arrivato il momento che quegli impegni siano mantenuti e che si faccia qualunque cosa che riesca a portare beneficio al nostro territorio“. Il solito menù, insomma: pasticcio all’italiana, stavolta innaffiato con Prosecco.

Un tartufo da record

La Fiera del tartufo bianco d’Alba ha organizzato anche quest’anno la classica asta, giunta alla sua 17ª edizione, che si è battuta domenica 13 novembre al castello di Grinzane Cavour. Sul banco 16 lotti abbinati a bottiglie magnum e doppio magnum di Barolo e Barbaresco: a contenderseli ospiti in platea ed in video collegamento dagli Stati Uniti e da Hong Kong. Zhenxiang Dong, noto chef cinese, si è aggiudicato il lotto più pregiato, un tartufo gemello di 1170 grammi, acquistato per soli 100.500 euro.

Dong è stato inoltre insignito del prestigioso titolo di “Ambasciatore del Tartufo Bianco d’Alba nel mondo”. L’asta ha prodotto un ricavato di 450.000 euro, parte dei quali verranno devoluti alle popolazioni terremotate del Centro Italia.

Viva lo spumante alternativo
Lo diciamo già da un po’ da queste pagine virtuali: il consumatore italiano è più coraggioso e consapevole di molti altri, forse il più temerario al mondo (ma solo perché conosce il vino). Un indagine commissionata dal Consorzio di Tutela del Lessini Durello a Wine Monitor ha rivelato che nove consumatori su dieci sono disposti ad acquistare uno spumante alternativo e fra questi il il 76% è disponibile anche a versare un sovraprezzo rispetto a quanto oggi pagato in media per una bottiglia.

Cosa si intende per “spumante alternativo”? I mille consumatori intervistati hanno risposto che per definirsi tale deve possedere una zona di produzione circoscritta, essere vinificato da vitigni autoctoni e deve appartenere ad una Denominazione. Winelovers italiani sempre più informati, quindi, e disposti a spendere persino qualcosa in più pur di bere qualcosa di diverso dalle solite bollicine.

Nel cielo italiano brillano le Stelle Michelin
Con ben 343 segnalazioni di cui otto da tre stelle, l’Italia si conferma al vertice mondiale della gastronomia d’eccellenza posizionandosi al secondo posto tra le selezioni della Guida Michelin 2017, giunta quest’anno alla 62ª edizione.

La presentazione, svoltasi a Parma al Teatro Regio, ha visto confermare otto ristoranti italiani con le Trois Etoiles: Piazza Duomo ad Alba, Da Vittorio a Brusaporto, Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, Le Calandre a Rubano, Osteria Francescana a Modena, Enoteca Pinchiorri a Firenze, La Pergola a Roma e Reale a Castel di Sangro.

Salgono a 41 i ristoranti a due stelle e si allarga anche il club dei monostellati che può vantare ben 294 segnalazioni, di cui 28 al primo anno di presenza in Guida.