Facciamo un giro in Abruzzo.
Virtuale.
O meglio, restando a Milano, approfittiamo della degustazione organizzata dall’enoteca Surlì per assaggiare i vini di Tenuta Terraviva.
Siamo a Tortoreto dove i 24 ettari intorno all’azienda sono coltivati a larga maggioranza a vitigni a bacca rossa. Solo uve autoctone in un ambiente dove regnano coltivazione biologica, fermentazione spontanea, uso di lieviti indigeni e basso, bassissimo uso di solforosa. Giusto quella indispensabile.
“Facciamo vino di territorio. Ciò che cerchiamo di portare in bottiglia si può riassumere in digeribilità mineralità e facile beva; non sono vini grassi o rotondi ma al contrario bisogna berli più che stare a raccontarli.”
E poi bisogna fare i conti con l’annata, che non è MAI una questione scontata.
“Si usava cosi 25 anni fa, in un vigneto misto con diverse varietà, per avere quantità. Oggi questa forma di allevamento è buona per una questione di temperatura perché con innalzamento globale delle stesse, torna utile per la maturazione e in fase di raccolta.”
Da un vigneto di 30 anni, le uve che un tempo venivano conferite in cantina sociale, dal 2010 sono destinate a questo progetto.
Due vinificazioni diverse la 2014 e la 2015 che vedono la prima, una raccolta al limite del tardivo e la seconda quasi l’opposto.
Interessante notare il rigore di una vinificazione non ritoccata con i suoi pregi e difetti. Cioè si nota un acidità a tratti sconnessa con la naturale aromaticità della passerina. Chiaramente sapido per l’influsso marino, mostra i caratteri di un vino giovane con una nota citrica e una lieve carbonica al palato. Vino semplice senza fronzoli.
Il Cerasuolo d’Abruzzo DOC 2015 Giusi ha un bel colore rosato luminoso e nonostante fosse un po’ ridotto all’inizio, lasciato nel calice si apre alla frutta rossa di fragoline e mirtilli. Al palato è semplice e diretto e lo penso in abbinamento a piatti di pesce. Sapido sulle note di cenere.
6-7 mesi in botte grande esausta ad uso esclusivo dell’ossidazione. Allevato a tendone si effettuano da 2 a 3 vendemmie.
Sì, perché ai margini del tendone l’uva matura prima mentre al centro ci vuole qualche giorno di più.
Il migliore per pulizia e complessità a mio parere. La macchia mediterranea, ulivo, note balsamiche di erbe officinali. Una potenzialità elevata, oggi embrionale. Chiaramente incompleto, soffre di giovinezza e necessita ancora di tanta bottiglia per fondere le parti. Un bel vino giovanotto su carni bianche, pesce arrosto o al forno.
Oliva nel bicchiere.
Anche lui appena versato è un vino che sembra esser stato rinchiuso nella segreta più profonda. E hanno pure buttato la chiave.
Per la serie “areare prima di soggiornarvi”, bisogna lasciarlo stare nel calice un po’. Fatevi una briscola, una partita a calcio balilla, un narghilè… È così. Poi il frutto esce fuori, per carità, soprattutto in bocca. Prugna, ciliegia e parte un ciccinin di alcol fuori controllo la bocca è molto gradevole con un tannino amabile, sofficino ma con piglio.
Un aneddoto interessante del produttore che dopo questa degustazione condivido e mi chiude il cerchio su una serie di considerazioni personali.
“Vini con poca solforosa, evidentemente, hanno bisogno di tempo, espresso in anni, per stabilizzarsi.”
Sembra che la tanto demonizzata solforosa sia infine una componente non dico essenziale (comunque sempre presente in quanto sottoprodotto della fermentazione alcolica) ma importante, da usare con cautela. Perché un vino, soprattutto se semplice e di facile beva, non può e non deve essere aspettato per “anni” per stabilizzarsi.