Penso abbiate letto le vicissitudini recenti che hanno interessato il Gambero Rosso,
Il web è pregno delle parole forti dei quotidiani in merito ad avvicendamenti e altro. Basta cercare e la bibliografia è ampia.
Per restare in tema invece, leggendo i commenti sui Tre Bicchieri 2016, da parte di chi il vino lo ama, e soprattutto lo beve, si capisce che forse c’è qualcosa che lascia un po’ di amaro in bocca.
Per restare in tema invece, leggendo i commenti sui Tre Bicchieri 2016, da parte di chi il vino lo ama, e soprattutto lo beve, si capisce che forse c’è qualcosa che lascia un po’ di amaro in bocca.
Ci concentreremo solo sui vini premiati in degustazione sabato 27 febbraio a Milano, ovvero fra i migliori prodotti dell’enologia italiana secondo (quella che un tempo si riteneva essere) L’ISTITUZIONE del vino in Italia.
Organizzare un evento non è mai facile per carità, ci possono essere mille imprevisti, scelte poco azzeccate col senno di poi e compromessi vari. Ci vuole insomma un impegno non indifferente per metter su tutto il baraccone e le cose non saranno mai perfette, quindi dico grazie.
Due o tre concetti però vorrei esprimerli.
Lo IULM sebbene un pelo fuori mano mi è sembrato subito un bel posto come location per una degustazione (ero tentato di scrivere location petalosa…).
Vicino alla metropolitana, con bianche e alte pareti colore bianco, guardaroba incorporato (mai darlo per scontato), e in generale grandi spazi.
Sì grandi spazi, ma non per la sala di degustazione. Ma con tutti ‘sti millemila metri quadri non c’era un ambiente più capiente?
Il locale a mezz’ora dall’apertura è già un delirio (mi immagino tutta ‘sta gente fuori ad aspettare e ringrazio di essere arrivato dopo).
Per dire, alle 20.30, passare da un lato all’altro della sala era come farsi strada nella più fitta foresta amazzonica. Senza machete ma con il calice in mano.
Scegliere meglio il personale di servizio ai desk (chiaramente non all’altezza) è il minimo per evitare di confondere il grechetto di Sergio Mottura con un “nebbiolo vinificato in bianco”.
Io: “Scherzi vero?”
Lui: “me l’ha detto il mio resp…”
Io:“Sì ma non lo dire ad alta voce, guarda c’è pure scritto in etichetta… tienilo per te o il primo sommelier mezzo brillo ti mette le mani al collo.”
Poi, si sa, riempire la pancia con cibo solido (di solito assaggi di formaggi, salumi, crostini di pane) in queste occasioni è necessario, oltre che apprezzatissimo. Se però proponi un salame, non dico debba per forza essere un Varzi Dop per carità, ma che almeno non abbia un colore rosa shocking e non sappia di… boh plastica.
Inquietante, ma meno della mortadella a fianco che non ho avuto il coraggio di provare…
Passiamo al vino che forse è meglio.
Cavit Trento Doc Altemasi Riserva Graal 2008, 6 grammi di residuo, da vigne alte almeno 500 metri e 72 mesi di affinamento sui lieviti. Questo blend 70% chardonnay, di cui una parte affina in botti già usate, e 30% pinot nero ha un bouquet floreale intenso e fruttato di frutta a polpa bianca su finale fragrante di crema pasticciera. Morbido e aggraziato in bocca, con la sua ancora briosa freschezza e sapidità spiccata mi è piaciuto molto più rispetto al passato.
Valle Vermiglia Frascati Superiore Eremo Tuscolano 2013
Alle spalle di Roma, i Castelli Romani sono il risultato del fu vulcano laziale (oggi quiescente) che nel corso dei millenni ha reso la zona particolarmente fertile e in qualche modo continua a influenzarla.
Il Frascati è un vino storico a base di varietà autoctone locali come malvasia di Candia e laziale, trebbiano giallo e toscano e bombino bianco di cui si parla fin dall’epoca romana facilmente reperibile nel passato e ampiamente distribuito. Va da sé che negli anni bui della storia italiana recente la solita fame di quantità seguita da una distribuzione di massa senza scrupoli ne abbia sputtanato il nome.
Questo Frascati Superiore conta 30.000 bottiglie ed è figlio delle pratiche della moderna vinificazione.
La sapidità, anzi la salinità è estrema e la bocca è piena e guizzante. Ma non solo. Ha un’ampiezza, una presenza che abbraccia il palato a 360 gradi con un finale di mandorla delicata che ne allunga il piacere.
E poco importa se il naso non brilla come la bocca. Un vino, dopo tutto, va bevuto e l’Eremo Tuscolano 2013 è un principe di bevibilità.
Il viaggio vicino la capitale continua scendendo dalle colline, verso l’Appia antica e verso il mare dove si apre la pianura che ricevendo i venti dal mare stesso diventa crocevia di correnti.
La Tenuta di Fiorano consta di 200 ettari e si trova a pochi chilometri dal centro di Roma all’interno del Parco Boncompagni Ludovisi. Il Fiorano Bianco 2013 è ottenuto da uve viognier e grechetto dopo un anno di affinamento in botti di Slavonia e uno in bottiglia.
Grande frutto al palato, caldo, sulle note di pesca, vince in allungo grazie al finale delicato di frutta secca, noce soprattutto. Al naso mostra ancora un po’ di alcol fuori fase, segno di giovanezza forse, ma la lieve speziatura al curry e vaniglia si esprimono già molto bene. Data l’acidità potrà solo migliorarsi fra qualche anno.
Ricordate il nebbiolo vinificato in bianco di Sergio Mottura che in realtà è un grechetto? E’ da produzione biologica, e si chiama Poggio della Costa 2014. Non potevo ometterlo.
La sferzata dei fiori di diverso colore e dimensione è preponderante e insieme alla frutta esotica di ananas, completa un quadro olfattivo intenso e molto fine. Al palato dimostra una grande potenza ma ha l’indiscusso pregio di scender giù bene.
Richiama immagini di brezza marina fresca del mattino, anche grazie ad un apporto alcolico contenuto. L’acidità è importante e vuole ancora qualche anno per raggiungere l’apice.
Infine bevibilità estrema e tridimensionalità sono i caratteri distintivi di questo grandissimo grechetto.
Proseguendo verso la Toscana, dopo l’impossibilità di apprezzare il Brunello di Montalcino di Poggio di Sotto, causa stitichezza di chi me l’ha versato, e un altro paio di altri assaggi da dimenticare, mi sposto velocemente, verso il desk di Poggio al Tesoro e al suo Tre Bicchieri Dedicato a Walter 2012.
Al naso l’immagine è quella di una falciatrice su un campo di pomodori. Più o meno è la sintesi del profumo del W; a tratti peperone a tratti il famoso (o famigerato) bosso.
Una bevibilità travolgente, un guizzo unico per un palato tale e quale al naso. Potente e graffiante quanto basta, regala un armonia non didattica ma assolutamente perfetta.
Proseguiamo e andiamo a vedere in Sicilia che si dice.
Baglio di Pianetto…Firriato…Cusumano.
Ancora! E gli altri?
Oggi no, passo,
E chiudo solo con qualche appunto personale extra.
E chiudo solo con qualche appunto personale extra.
– Primitivo di Manduria Raccontami 2013, Futura 14.
“Ma quello di Vespa?”
“Ma davvero è un Tre Bicchieri??”
“Così a prima botta??? Beh proviamolo, bisogna dare a tutti una possibilità.”
Sintetizzando: “Marmellata di visciole, al limite del dolce. Tre Barattoli. Cioè no Tre Bicchieri…“
– “E l’ES di Gianfranco Fino? Ah si, non è fra i premiati. Gli dev’essere venuto proprio male oppure…”
– Montiano 2013, Falesco.
“Spremuta di Pinocchio (cit.).”
Cioè, ci sono vini anche molto buoni fra i Tre Bicchieri, vini che adoro per carità come il Nature di Monsupello, il Collepiano di Caprai o lo stesso Brunello di Poggio di Sotto.
Quello che mi chiedo però è se davvero la miriade di tutti gli altri, quelli ignoti ai più, non riesce ad essere mai all’altezza della (presunta) eccellenza. Bah!
Comunque sia anche oggi ho imparato qualcosa per fortuna.
Il Lazio vinicolo ESISTE ancora e dovrebbe vivere meno all’ombra dell’espressione internazionale.
I nomi da accontentare ci sono sempre ma qui sembrano più sempre che in altre guide.
Il legno scorre ancora potente in Italia.
Il Fiorduva bianco 2014 di Marisa Cuomo è il miglior vino bianco d’Italia e non costa 15 euro come invece sosteneva il tizio dietro al bancone (purtroppo).
Non fa una piega…
"Scegliere meglio il personale di servizio ai desk (chiaramente non all'altezza)"
se paghi il personale all'altezza lo trovi, se non paghi, ti devi accontentare di personale non all'altezza
Hamlet