Che cosa si può dire di Luca Gardini? Chi non lo conosce deve sapere che Luca è un sommelier professionista di scuola AIS dal 2003, e che ha rapidamente bruciato le tappe, giungendo a vincere il titolo italiano nel 2004, quello europeo nel 2009 ed il campionato del mondo indetto dalla WSA nel 2010; da allora la sua carriera è stata un crescendo anche mediatico ma anziché avvicinarsi allo stereotipo rigido del sommelier se ne è gradualmente allontanato, tracciando nuovi percorsi e teorizzando nuovi criteri per vivere il vino.

Ha lavorato con Pinchiorri e Carlo Cracco ma il lavoro in sala, ancorché in ristoranti prestigiosissimi, gli sta stretto. 

Col tempo, si cambia. E cambiando capisce che vuol diventare un comunicatore.
Nel 2012 ha creato i Best Italian Wine Awards, una classifica che premia i cinquanta migliori vini italici, selezionati e giudicati da un panel che farebbe impallidire qualunque guida. 

Chi lo conosce, invece, sa già che Luca è una persona di quelle con cui vorresti uscire a cena, perché è un espansivo, un esplosivo direi: c’è da divertirsi e da imparare, of course. Dice sempre quello che pensa, e forse per questo non a tutti piace. 

A noi di Appunti di degustazione piacciono le persone spontanee e sincere ed abbiamo intervistato Luca molto, molto volentieri. Abbiamo scoperto che condivide con noi il tema del piacere della scoperta, che bere un calice di vino vale più che parlarne e basta; non lesina critiche ad AIS, l’associazione che lo ha formato e cita le bottiglie che porterebbe sulla luna. Senza peli sulla lingua, ve lo avevamo detto.
Perché Luca fa parte delle #personedivino.

Noi di Appunti di degustazione diciamo sempre che il gusto personale evolve o comunque si modifica col tempo. Quali sono stati i primi amori nel calice di Luca Gardini?

Il Sangiovese, in particolare quello della mia terra, la Romagna. 

E attualmente cosa ti piace bere? 

In parte dipende anche dalle stagioni e dall’alternarsi degli ingredienti, anche se, come dico sempre, se ad uno piace, può bere il pesce con un Barolo. Il palato è soggettivo e, per questo, va rispettato. In fatto di vini mi innamoro spesso! Se dovessi dire oggi, direi Nebbiolo e Verdicchio. 
Spesso c’è un vino nella vita di un degustatore che si può considerare spartiacque, un vino che segna il confine tra il prima e il dopo, che certifica in modo limpido l’amore per il vino. Qual è stato il tuo, se ce n’è stato uno? 

Non ce ne è uno solo, perché le annate e i territori del vino che sono sempre in divenire, quindi le scoperte potrei quasi dire siano addirittura quotidiane. Inoltre il riscaldamento globale sta portando la vite in zone fino ad alcuni anni fa impensabili, perciò è un continuo divenire.

Parlaci della tua esperienza da Pinchiorri, un tempio della ristorazione mondiale. Che rapporto hai con Giorgio? 
Il mio maestro, basta come riposta per raccontare quello che provo per lui, no?! 

Cosa hai imparato in quegli anni, più di ogni altra cosa? 

Che il vino va bevuto. Pensate che Pinchiorri ci faceva assaggiare tutta la sua cantina, perché per parlare bisogna aver bevuto e non, semplicemente, letto o sentito dire.
Con Carlo Cracco invece, come è andata? Cosa vi unisce? 
Ci ha unito un progetto di crescita di un locale in una città cosmopolita come Milano, in cui il cliente è uno che gira il mondo e per questo vuole sempre un’esperienza al top.
Quali sono le maggiori difficoltà che si possono incontrare lavorando in un ristorante stellato? 
Questa che ho appena detto, far emozionare una persona che, con grande probabilità, ha già visto tutto e ha già assaggiato tutto…
Torneresti a lavorare in un grande ristorante, magari all’estero o pensi di voler abbandonare quel tipo di esperienza? E se non è così, in quale ristorante ti piacerebbe lavorare? 
Da anni non lavoro più in sala e al ristorante oggi ci vado come cliente. Mi piace provare diverse tipologie di locali. La cucina, specie una di povere origini come quella italiana, va oltre le stelle, in tutti i sensi. Tornerò a lavorare al ristorante? Mai dire mai e se il detto vale anche per 007, figuratevi per gli altri…
A volte può capitare di degustare vini non proprio eccellenti in presenza del produttore. Ci racconti un aneddoto simpatico legato ad una degustazione che non è andata molto bene? 
Sembrerà strano ma non mi pare di ricordarne. Motivo? perché se da un lato posso criticare il risultato, non critico il lavoro e l’impegno, non solo finanziario, di chi ha prodotto quel vino. Partendo quindi da un presupposto di rispetto, potrei dire a quel produttore, come per altro spesso faccio, quali sono, secondo me, le criticità di quel vino.
Quali sono i vini che pensi di comunicare meglio? 
Quelli dotati di bevibilità. Basta con i vini che si annusano mille volte ma poi, quando si debbono bere, non si riesce ad andare oltre al bicchiere.
Cosa pensi dei cosiddetti “vini naturali”? Più marketing o più sostanza? 
Dipende, ci sono produttori biodinamici e super naturali, sia in italia che all’estero, che non hanno bisogno di comunicarlo, visto che all’unanimità sono riconosciuti come eccellenti. In alcuni quindi si tratterà di marketing in altri di sostanza, dipende.
Luca Gardini con Tim Atkin a BIWA 2015
Come nasce l’idea del BIWA? Come selezionate i vini da degustare?  
L’idea del BIWA nasce da una chiacchierata estiva tra me e Andrea Grignaffini per premiare veramente l’eccellenza del vino in Italia. Tuttavia abbiamo deciso di farlo ricorrendo ad una giuria mista, perché non volevo che ci si fossilizzasse su un gusto italiano, per questo ho voluto Master of wine, o grandi giornalisti del vino, da tutto il mondo. 


I vini sono selezionati a me e dai consigli che arrivano da ogni giurato, in base agli assaggi che ciascuno ha effettuato durante l’anno. Le etichette scelte, da anni in numero sempre crescente, sono solo di annate attualmente in commercio alla data in cui si realizzano le sessioni di degustazione. 
C’è un vino che ha particolarmente diviso nel giudizio gli altri degustatori del panel?
Forse i vini molto particolari o che i giurati esteri conoscevano in maniera meno approfondita. D’altro canto non si possono conoscere con la stessa profondità e consapevolezza tutti i vini che il mercato italiano produce.
Nel Codice Gardini spieghi che degustare il vino è facile e cerchi di semplificare alcuni concetti. Non pensi di sminuire – così facendo – la figura del sommelier? 
No, quella rimane tale. Spesso tuttavia sono coloro che, non essendo sommelier, non si debbono sentire sminuiti se non riescono ad esprimere le proprie sensazioni di fronte ad un vino. 
Il codice è il distillato dei miei anni di esperienze, errori compresi, che successivamente ho sottoposto ad un processo di semplificazione, perché ciascuno possa capire perché una determinata etichetta gli piace più di un’altra. 


Capire che vino ci piace significa comprendere che gusti abbiamo e, forse, un po’ di più come in realtà siamo in quanto persone. 
Ti senti ancora legato a quel tipo di profilo professionale? 
Mi sento legato a chi ama il vino e si impegna perché sempre più persone condividano lo stesso sentimento in rapporto ad esso. L’associazione oggi mi sembra invece più incline a creare una cesura, un distacco, tra lei e chi si avvicina al vino. 


La spilla o la divisa esibite agli eventi sul vino, diventa perciò un simbolo di distinzione intesa come: ‘io so di vino e voi no’. 
Il tutto poi finisce per risultare un po’ troppo autoreferenziale o, per dirla in un’altra maniera, fa un po’ troppo Marchese del Grillo…
Parlaci della tua esperienza in AIS. C’è qualcosa oltre alla formazione per cui deve ringraziare l’associazione?
L’avermi dato un punto di partenza per poi decidere di fare… diversamente!
Tra cinque minuti parti per una missione lunare di durata indefinita. Che bottiglie porti con te? 
Esistono le navette spaziali con il rimorchio? Scherzo, volete i nomi? Anas-Cetta di Elvio Cogno, Barolo Monprivato di Giuseppe Mascarello & figlio, Franciacorta Extra Brut Naturalis della cantina La Valle, Vecchio Samperi di De Bartoli e il Brunello di Montalcino di Ciacci Piccolomini d’Aragona, ma la lista sarebbe molto più lunga.