Tra gli appunti che di tanto in tanto mi lascio colpevolmente dietro, ho ritrovato quelli dello scorso 28 novembre, in occasione
di una degustazione tenuta al Westin Palace di Milano. Protagonisti i vini di Rigoloccio, una realtà maremmana che val la pena conoscere.

La cantina

Situata ai piedi del Monte Calvo, nel cuore delle Colline Metallifere grossetane, con un’estensione di 23 ettari, la cantina Rigoloccio nacque nel 2002 dall’idea di due amici maremmani. Il nome, preso in prestito da una antica miniera di pirite nel complesso minerario di Gavorrano – oggi dismessa – rimanda idealmente a una delle caratteristiche più importanti per l’azienda: il terreno. Fino a qualche tempo fa questo angolo di Toscana non godeva di considerazione nella viticoltura di qualità. Eppure i suoli ricchi di metalli ferrosi, di limo e argilla, le lievi pendenze, la brezza marina che giunge dal vicino Golfo di Follonica ne fanno teatro ideale per la produzione di vini di pregio. La storia insegna: la Maremma è zona di produzione vinicola dal VII secolo a.C., allorquando gli Etruschi impiantarono per la prima volta la vitis vinifera. E da allora non si è mai smesso di fare vino.

In cantina Rigoloccio sin dall’inizio l’obiettivo fu quello di vinificare con varietà internazionali e per non lasciare nulla al caso ci si rivolse a due nomi sicuri: l’agronomo francese Pierre Marie Guillame e l’enologo toscano Fabrizio Moltard. Il risultato è stato – ed è – di guardare all’esempio transalpino nella sua accezione migliore, senza perdere di vista le peculiarità maremmane: le varietà impiantate sono merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, petit verdot e chardonnay. L’alicante è l’unico vitigno autoctono.
Nel 2017 un cambio di proprietà ha dato nuova linfa alla cantina, con nuove idee e investimenti importanti.

I vini

A Rigoloccio si seguono rigorosi criteri selettivi: la resa di uva per pianta è inferiore agli ottocento grammi, con raccolta manuale e duplice selezione mediante tavolo di cernita. Abbiamo avuto modo di provare diversi vini, e ve ne voglio segnalare due. Elegantia 2011, blend dei due cabernet in egual percentuale. Vestito rosso scuro, impenetrabile eppure lucente, ha al naso un approccio dapprima timido, particolarità che ho ritrovato in tutti i vini della cantina. Evidentemente bisogna saperli attendere, perché dopo qualche giro nel calice ripaga con generosità il degustatore: note nitide di marasca, prugna, china, liquirizia. Magnanimo è anche il sorso, di buona corrispondenza gusto-olfattiva, ancora energico nonostante non sia giovanissimo.

E l’Abundantia 2012, merlot in purezza che necessita – e merita – ancora maggiore riflessione. Il passaggio in rovere è ben calibrato: l’apporto boisé è limitato e anzi arricchisce il bouquet con la giusta grazia, come un corista che accompagna la prima voce. Mirtilli maturi, chiodi di garofano, tabacco dolce, con accenno mentolato davvero pregiato. Assaggiandolo vi si riscontra una certa dolcezza alcolica o varietale, ben sostenuta da un vigore intatto e bel corpo. Finale interminabile. Un gran bel vino.