Quando si parla di Emilia Romagna le prime cose che vengono in mente sono i tortellini, la riviera, la piadina e last but not least il lambrusco. Il vino italiano più esportato nel mondo ha una fortissima identità autoctona e simboleggia il legame indissolubile tra un vino, un popolo e la terra in cui essi coesistono, ma al contempo rende alquanto limitata la visione che si ha dell’enologia emiliana.
Provate infatti a cantare una famosa canzone di Ligabue così modificata:
“Pignoletto e popcooooooorn
non è così facile
perché prima e dopo il sogno c’è
la vita da vivere, vivere”
Non suonerà bene ed è palese la forzatura metrica, ma soprattutto non renderà mai l’idea di Emilia Romagna che il Luciano di Correggio voleva dare cantando il lambrusco.
Fortunatamente l’ER vanta un carnet ampelografico di tutto rispetto: con l’albana e il sangiovese di Romagna si producono vini premiati in Italia e oltralpe. Sul centesimino consiglio a chi non lo conosce di provarlo quanto prima: sarà una piacevolissima sorpresa. Il pagadebit (bombino bianco) ha un nome simpatico che fa sorridere ma è anche un nome che racchiude la sua storia contadina.
Il pignoletto è un’uva emiliana tra le più sottovalutate dello stivale ma vi posso assicurare che non ha nulla da invidiare ad altre e più blasonate uve bianche italiane. Forse il suo nome “vezzeggiativo” susciterà nel consumatore l’errata idea di trovarsi di fronte a un vinello, un po’ come il verduzzo e il bianchello per intenderci, ma il valore del pignoletto non si discute: è un’uva completa, vinificata in purezza senza necessariamente il bisogno di uve complementari.
Ne sanno qualcosa Fabio Bottonelli e Donatella Agostoni, conduttori dell’azienda Manaresi in quel di Zola Predosa (BO); Donatella è nipote dell’artista Paolo Manaresi a cui l’azienda è dedicata.
Oltre che sul sauvignon e merlot Fabio e Donatella hanno deciso di puntare sul pignoletto, dalla cui vigna ottiene un bianco frizzante, riservando invece pochi filari al fermo. Un cru nel cru.
Naso agrumato e vegetale.
Sorso rotondo, pieno e appagante di polpa gialla.
PAI che non troverete tanto facilmente nei bianchi.
Mineralità pungente che resetta ogni precedente sorso.
Ultima nota sull’etichetta che è in pratica una cornice bianca, vuota al centro.
L’opera è il vino, il vino è arte. Lo zio Paolo da lassù avrà di certo apprezzato.